Informazioni sulla mostra

A material Dance riunisce due artisti separati da generazioni e continenti, ma uniti dalla loro radicale reinterpretazione delle possibilità fisiche della pittura. I rivoluzionari Concetti Spaziali di Lucio Fontana e i dipinti tattili in vetro di Alteronce Gumby rivelano un impegno condiviso nel superare i confini artistici tradizionali attraverso un intervento diretto sulla materia.

La dimensione cosmologica del loro lavoro lega ulteriormente questi artisti attraverso il tempo. I tagli e i fori precisi di Fontana trasformarono la tela da superficie passiva a portale attivo, creando un’idea di infinito che mise in discussione secoli di convenzioni pittoriche. I suoi squarci non erano atti di distruzione, ma rotture deliberate che invitavano lo spettatore a sperimentare lo spazio oltre il piano pittorico — un gesto verso il cosmo stesso. L’interesse di Gumby per l’astrofisica e la fotografia interstellare fonda la sua pratica su preoccupazioni universali simili; le sue superfici iridescenti suggeriscono nebulose e galassie lontane catturate in resina e vetro. Nel lavoro di entrambi vediamo che la vera innovazione richiede non solo nuove idee, ma anche nuovi modi di rapportarsi fisicamente ai materiali.

La mostra rivela come il processo di ciascun artista diventi parte integrante del significato. I tagli metodici di Fontana creano aperture meditative che parlano di trascendenza spirituale e possibilità scientifica, mentre le superfici dipinte di Gumby testimoniano il contatto diretto dell’artista con i suoi materiali, dando vita a opere che, come lui stesso descrive, permettono allo spettatore di vedere e sentire la fattura concreta di ogni pezzo. Questa comune enfasi sul “processo come contenuto” connette le loro pratiche al di là delle divisioni temporali e culturali.

Entrambi gli artisti dimostrano come la materialità possa ampliare la percezione. Le superfici monocromatiche di Fontana, punteggiate da vuoti, creano infinite possibilità spaziali con mezzi minimi. Gli spettri cromatici iridescenti di Gumby raggiungono una simile trascendenza attraverso la sua peculiare applicazione del vetro, in cui oscurità e luce si intrecciano per mettere in discussione le tradizionali concezioni di colore e forma. Le loro opere funzionano come enigmi ottici e concettuali che richiedono un coinvolgimento attivo da parte dello spettatore.

L’accostamento mette inoltre in evidenza come tecniche non convenzionali possano portare un profondo peso sociale e filosofico. Lo Spazialismo di Fontana cercava di sintetizzare colore, suono, spazio, movimento e tempo in un nuovo linguaggio artistico per l’era moderna, abbracciando tecnologia e scoperta scientifica. La pratica di Gumby spinge i confini in modo simile, ma con un’attenzione esplicita a come i significati e le connotazioni del colore e dei materiali si relazionino alle questioni contemporanee dell’identità. Il suo lavoro prosegue la tradizione fontaniana di usare la materialità radicale per affrontare questioni culturali urgenti.

Ciò che emerge con maggiore forza da questo dialogo è la consapevolezza, da parte di entrambi, che la tela non sia un terreno neutro, ma un luogo di possibilità che richiede trasformazione fisica. I tagli di Fontana aprirono la pittura allo spazio scultoreo e all’esperienza ambientale, anticipando di decenni l’arte installativa. L’approccio manuale di Gumby rifiuta in modo simile la distanza tradizionalmente mantenuta tra artista e superficie, creando dipinti che vibrano di presenza umana e urgenza culturale.

Insieme, queste opere dimostrano che la vera innovazione artistica avviene non solo a livello concettuale, ma anche nell’atto fisico coraggioso del fare — che si tratti del taglio deciso di una lama o della pressione intima delle dita contro vetro e pigmento. Entrambi gli artisti dimostrano che i materiali stessi possono diventare collaboratori nell’espandere la nostra comprensione di ciò che la pittura può essere e fare nel mondo.

—Dexter Wimberly

A material Dance riunisce due artisti separati da generazioni e continenti, ma uniti dalla loro radicale reinterpretazione delle possibilità fisiche della pittura. I rivoluzionari Concetti Spaziali di Lucio Fontana e i dipinti tattili in vetro di Alteronce Gumby rivelano un impegno condiviso nel superare i confini artistici tradizionali attraverso un intervento diretto sulla materia.

La dimensione cosmologica del loro lavoro lega ulteriormente questi artisti attraverso il tempo. I tagli e i fori precisi di Fontana trasformarono la tela da superficie passiva a portale attivo, creando un’idea di infinito che mise in discussione secoli di convenzioni pittoriche. I suoi squarci non erano atti di distruzione, ma rotture deliberate che invitavano lo spettatore a sperimentare lo spazio oltre il piano pittorico — un gesto verso il cosmo stesso. L’interesse di Gumby per l’astrofisica e la fotografia interstellare fonda la sua pratica su preoccupazioni universali simili; le sue superfici iridescenti suggeriscono nebulose e galassie lontane catturate in resina e vetro. Nel lavoro di entrambi vediamo che la vera innovazione richiede non solo nuove idee, ma anche nuovi modi di rapportarsi fisicamente ai materiali.

La mostra rivela come il processo di ciascun artista diventi parte integrante del significato. I tagli metodici di Fontana creano aperture meditative che parlano di trascendenza spirituale e possibilità scientifica, mentre le superfici dipinte di Gumby testimoniano il contatto diretto dell’artista con i suoi materiali, dando vita a opere che, come lui stesso descrive, permettono allo spettatore di vedere e sentire la fattura concreta di ogni pezzo. Questa comune enfasi sul “processo come contenuto” connette le loro pratiche al di là delle divisioni temporali e culturali.

Entrambi gli artisti dimostrano come la materialità possa ampliare la percezione. Le superfici monocromatiche di Fontana, punteggiate da vuoti, creano infinite possibilità spaziali con mezzi minimi. Gli spettri cromatici iridescenti di Gumby raggiungono una simile trascendenza attraverso la sua peculiare applicazione del vetro, in cui oscurità e luce si intrecciano per mettere in discussione le tradizionali concezioni di colore e forma. Le loro opere funzionano come enigmi ottici e concettuali che richiedono un coinvolgimento attivo da parte dello spettatore.

L’accostamento mette inoltre in evidenza come tecniche non convenzionali possano portare un profondo peso sociale e filosofico. Lo Spazialismo di Fontana cercava di sintetizzare colore, suono, spazio, movimento e tempo in un nuovo linguaggio artistico per l’era moderna, abbracciando tecnologia e scoperta scientifica. La pratica di Gumby spinge i confini in modo simile, ma con un’attenzione esplicita a come i significati e le connotazioni del colore e dei materiali si relazionino alle questioni contemporanee dell’identità. Il suo lavoro prosegue la tradizione fontaniana di usare la materialità radicale per affrontare questioni culturali urgenti.

Ciò che emerge con maggiore forza da questo dialogo è la consapevolezza, da parte di entrambi, che la tela non sia un terreno neutro, ma un luogo di possibilità che richiede trasformazione fisica. I tagli di Fontana aprirono la pittura allo spazio scultoreo e all’esperienza ambientale, anticipando di decenni l’arte installativa. L’approccio manuale di Gumby rifiuta in modo simile la distanza tradizionalmente mantenuta tra artista e superficie, creando dipinti che vibrano di presenza umana e urgenza culturale.

Insieme, queste opere dimostrano che la vera innovazione artistica avviene non solo a livello concettuale, ma anche nell’atto fisico coraggioso del fare — che si tratti del taglio deciso di una lama o della pressione intima delle dita contro vetro e pigmento. Entrambi gli artisti dimostrano che i materiali stessi possono diventare collaboratori nell’espandere la nostra comprensione di ciò che la pittura può essere e fare nel mondo.

—Dexter Wimberly

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