Informazioni sulla mostra

Pittore, regista, curatore, il belga Guy Massaux è protagonista di una retrospettiva in due parti, la prima in Italia.

Le opere presentate presso la galleria Secci di Firenze si estendono dal 2001 al 2011. Esse fanno seguito a quelle esposte (Guy Massaux, Opere 1987-1999, Prima parte) presso la galleria “Il Ponte”, nell’aprile del 2023, a Firenze.

Guy Massaux ha dedicato la sua attività principale all’insegnamento della pratica del disegno, della pittura e dell’arte nello spazio pubblico presso l’Accademia Reale delle Belle Arti di Bruxelles, dal 1983 al 2023. A intervalli, ha praticato la pittura e il disegno come “apolidi”. Pur vivendo a Bruxelles, si spostava regolarmente in Italia per realizzare la maggior parte della sua opera. È infatti a Volterra (PI) dove ha progressivamente preso residenza, chiamandola “il mio punto di riferimento transalpino” o “il mio rifugio”, al fine di sviluppare la sua passione per la cultura italiana e per prendere distanza dal “tumulto del mondo dell’arte” al quale non ha mai preteso di appartenere pienamente, nonostante negli anni fra il ’90 e il 2000, il suo lavoro venga inserito in collezioni prestigiose e in gallerie belghe ben considerate.

È in questa distanza voluta e scelta da lui che si rivelano le sue proprie preoccupazioni pittoriche, ed è attraverso gli effetti di questa deroga o ritirata che l’atteggiamento che adotta rende possibile la pratica della sua pittura e la critica della pittura per sé stesso: “È stato come l’emergere di una necessità superiore al solo desiderio di fare, di praticarla senza compromessi, prima per me stesso, poi, a sua volta, nella lettura che la pittura offre nel vederla o percepirla.” Questa percezione, questo “percepire per intravedere”, è ciò che, retrospettivamente, attraversa e si avvicina a un approccio costante all’opera. Inoltre, denuncia, respinge ogni discorso sulla strumentalizzazione, sulla fabbricazione, del “fare” arte. È così che la maggior parte delle opere presentate qui non sono mai state esposte, né al loro tempo, o solo scorse, intraviste, nella discrezione dell’atelier.

Diventa così visibile l’attività di un artista che, pur inizialmente rientrando nell’orbita di Daniel Buren e Michel Parmentier (di cui dirige l’archivio), sfugge alle classificazioni. Dai dipinti e disegni, dai collage, dalle grandi carte su tela si intuisce che il suo vero interesse è sperimentare.

2001-2003

Le ricerche porteranno (serie ARTOIS) a mettere in discussione le finalità precedenti del suo percorso artistico attraverso un progressivo spostamento nella direzione di sperimentazioni che suggeriscono una disarticolazione dei costituenti della pittura più specificamente nel suo legame con il collage, carta strappata e poi (re)incollata, in un ritorno ai principi originari, antistorici della pittura (gesti, materiali, forme) emancipati dalle classificazioni stilistiche in cui è stata mantenuta e cristallizzata dalla storia dell’arte (ancora oggi). Da allora l’opera non sarà più assimilata a un’identità specifica di genere, movimento o discorso, riallacciandosi così ai fondamenti del disegno/pittura/scultura, costanza e risorgenza dell’interrogazione, della Ut pictura poësis, secondo l’estrema esigenza del fare e delle sue conseguenze riguardo al pensiero, all’etica e alla sfera del politico. Così i “quadretti” sono superfici / recipienti di una serie di spostamenti; dipinti strappati a strisce, carta usata o riciclata, elastici in tensione, tutti protagonisti spogliati e privati di qualsiasi scopo, di qualsiasi confinamento o chiusura della pittura, compresi telai e supporti.

2004-2008

In un secondo momento, la ricorrenza, la ripetizione delle “figure” (nodi, pieghe, tagli, tracciati vari, carte incollate, scritture, colori, tipografie, ecc.) non si manifestano più sul modo dell’identificazione stilistica, ma sono intrinsecamente legate (ONDA-VENTO SU ACQUA, OTTO CROSS-OVER INTERNO, ecc). Servono, compromettono, contrastano ogni tentativo di cattura da parte dello sguardo dell’unità della forma e del contenuto, dell’opera e della storia. L’opera/soggetto si oppone a qualsiasi “oggetto” o installazione di sostituzione, è antitetica e antinomica ad essa, il suo contro punto accecante. L’opera è una conseguenza, un evento inaspettato, della messa in pratica e in dubbio da parte dei suoi costituenti stessi. Non teorica, né filosofica, ma relativa a una pratica critica.

2009-2011

L’organicità dei “grandi” disegni su più fogli assemblati reintroduce la rappresentazione, la prospettiva, dove riappaiono associate a “parole”, onomatopee, slogan, evocazioni e denunce dei tempi presenti (PRIVACY-Next), (POST-MODERNO) verbalizzazioni delle apparenze, affiancate a effetti sonori. Il campo lessicale produce da un lato una parola come il prolungamento (conseguenza) di un’azione che accompagna (SLING), dall’altro, la stessa parola (LUCE) moltiplicata produce il proprio spazio di estensione. ARLECCHINO DI BRONZO provoca disordine, gabinetto delle curiosità, riunito in una figura simmetrica composta inizialmente da diversi stencil fusi, confusi, mostrando casualmente il memento mori del buffone. In DEATH, una griglia losangica associata al colore si incrocia sull’immagine, con tutti i losanghi adattati e rattoppati dal costume di Arlecchino, figura caleidoscopica, emblema e parabola della pittura.

A partire dal 2012, Guy Massaux dedicherà la maggior parte della sua creazione alla video-arte, come autore e regista di diversi cortometraggi tra cui Il Rifugio (2015), La Selva oscura (2018), B. o Vita nuova (2022) realizzati in lingua italiana.

Dal 1987, lavorerà e installerà il suo studio in un padiglione dell’ex ospedale psichiatrico che occupa fino al 2011.

Queste opere che si collocano alla fine degli anni 2000 seguono il periodo 1987-1999, il cui approccio era guidato e assimilabile a un minimalismo informato dal concettualismo e dalla contestualizzazione della pittura in luoghi specifici.

Pittore, regista, curatore, il belga Guy Massaux è protagonista di una retrospettiva in due parti, la prima in Italia.

Le opere presentate presso la galleria Secci di Firenze si estendono dal 2001 al 2011. Esse fanno seguito a quelle esposte (Guy Massaux, Opere 1987-1999, Prima parte) presso la galleria “Il Ponte”, nell’aprile del 2023, a Firenze.

Guy Massaux ha dedicato la sua attività principale all’insegnamento della pratica del disegno, della pittura e dell’arte nello spazio pubblico presso l’Accademia Reale delle Belle Arti di Bruxelles, dal 1983 al 2023. A intervalli, ha praticato la pittura e il disegno come “apolidi”. Pur vivendo a Bruxelles, si spostava regolarmente in Italia per realizzare la maggior parte della sua opera. È infatti a Volterra (PI) dove ha progressivamente preso residenza, chiamandola “il mio punto di riferimento transalpino” o “il mio rifugio”, al fine di sviluppare la sua passione per la cultura italiana e per prendere distanza dal “tumulto del mondo dell’arte” al quale non ha mai preteso di appartenere pienamente, nonostante negli anni fra il ’90 e il 2000, il suo lavoro venga inserito in collezioni prestigiose e in gallerie belghe ben considerate.

È in questa distanza voluta e scelta da lui che si rivelano le sue proprie preoccupazioni pittoriche, ed è attraverso gli effetti di questa deroga o ritirata che l’atteggiamento che adotta rende possibile la pratica della sua pittura e la critica della pittura per sé stesso: “È stato come l’emergere di una necessità superiore al solo desiderio di fare, di praticarla senza compromessi, prima per me stesso, poi, a sua volta, nella lettura che la pittura offre nel vederla o percepirla.” Questa percezione, questo “percepire per intravedere”, è ciò che, retrospettivamente, attraversa e si avvicina a un approccio costante all’opera. Inoltre, denuncia, respinge ogni discorso sulla strumentalizzazione, sulla fabbricazione, del “fare” arte. È così che la maggior parte delle opere presentate qui non sono mai state esposte, né al loro tempo, o solo scorse, intraviste, nella discrezione dell’atelier.

Diventa così visibile l’attività di un artista che, pur inizialmente rientrando nell’orbita di Daniel Buren e Michel Parmentier (di cui dirige l’archivio), sfugge alle classificazioni. Dai dipinti e disegni, dai collage, dalle grandi carte su tela si intuisce che il suo vero interesse è sperimentare.

2001-2003

Le ricerche porteranno (serie ARTOIS) a mettere in discussione le finalità precedenti del suo percorso artistico attraverso un progressivo spostamento nella direzione di sperimentazioni che suggeriscono una disarticolazione dei costituenti della pittura più specificamente nel suo legame con il collage, carta strappata e poi (re)incollata, in un ritorno ai principi originari, antistorici della pittura (gesti, materiali, forme) emancipati dalle classificazioni stilistiche in cui è stata mantenuta e cristallizzata dalla storia dell’arte (ancora oggi). Da allora l’opera non sarà più assimilata a un’identità specifica di genere, movimento o discorso, riallacciandosi così ai fondamenti del disegno/pittura/scultura, costanza e risorgenza dell’interrogazione, della Ut pictura poësis, secondo l’estrema esigenza del fare e delle sue conseguenze riguardo al pensiero, all’etica e alla sfera del politico. Così i “quadretti” sono superfici / recipienti di una serie di spostamenti; dipinti strappati a strisce, carta usata o riciclata, elastici in tensione, tutti protagonisti spogliati e privati di qualsiasi scopo, di qualsiasi confinamento o chiusura della pittura, compresi telai e supporti.

2004-2008

In un secondo momento, la ricorrenza, la ripetizione delle “figure” (nodi, pieghe, tagli, tracciati vari, carte incollate, scritture, colori, tipografie, ecc.) non si manifestano più sul modo dell’identificazione stilistica, ma sono intrinsecamente legate (ONDA-VENTO SU ACQUA, OTTO CROSS-OVER INTERNO, ecc). Servono, compromettono, contrastano ogni tentativo di cattura da parte dello sguardo dell’unità della forma e del contenuto, dell’opera e della storia. L’opera/soggetto si oppone a qualsiasi “oggetto” o installazione di sostituzione, è antitetica e antinomica ad essa, il suo contro punto accecante. L’opera è una conseguenza, un evento inaspettato, della messa in pratica e in dubbio da parte dei suoi costituenti stessi. Non teorica, né filosofica, ma relativa a una pratica critica.

2009-2011

L’organicità dei “grandi” disegni su più fogli assemblati reintroduce la rappresentazione, la prospettiva, dove riappaiono associate a “parole”, onomatopee, slogan, evocazioni e denunce dei tempi presenti (PRIVACY-Next), (POST-MODERNO) verbalizzazioni delle apparenze, affiancate a effetti sonori. Il campo lessicale produce da un lato una parola come il prolungamento (conseguenza) di un’azione che accompagna (SLING), dall’altro, la stessa parola (LUCE) moltiplicata produce il proprio spazio di estensione. ARLECCHINO DI BRONZO provoca disordine, gabinetto delle curiosità, riunito in una figura simmetrica composta inizialmente da diversi stencil fusi, confusi, mostrando casualmente il memento mori del buffone. In DEATH, una griglia losangica associata al colore si incrocia sull’immagine, con tutti i losanghi adattati e rattoppati dal costume di Arlecchino, figura caleidoscopica, emblema e parabola della pittura.

A partire dal 2012, Guy Massaux dedicherà la maggior parte della sua creazione alla video-arte, come autore e regista di diversi cortometraggi tra cui Il Rifugio (2015), La Selva oscura (2018), B. o Vita nuova (2022) realizzati in lingua italiana.

Dal 1987, lavorerà e installerà il suo studio in un padiglione dell’ex ospedale psichiatrico che occupa fino al 2011.

Queste opere che si collocano alla fine degli anni 2000 seguono il periodo 1987-1999, il cui approccio era guidato e assimilabile a un minimalismo informato dal concettualismo e dalla contestualizzazione della pittura in luoghi specifici.

Area info
Condividi
Per ulteriori informazioni o richieste, e-mail qui sotto.




    Iscriviti alla nostra mailing list per aggiornamenti sui nostri artisti, mostre, eventi e altro ancora.
    Iscriviti