Artefiera 2025

Secci è lieta di annunciare la sua partecipazione a Arte Fiera, dal 6 al 9 febbraio 2025. Per l’edizione di quest’anno, la galleria presenterà artisti come:
Giacomo Balla
Alberto Biasi
Giuseppe Capogrossi
Giulio D’Anna
Chico Da Silva
Filippo De Pisis
Leonor Fini
Lucio Fontana
Damien Hirst
Paul Jenkins
Fernand Leger
Osvaldo Licini
Gio’ Pomodoro
Concetto Pozzati
Enrico Prampolini
Gino Severini
Giulio Turcato
Tom Wesselmann
La galleria si trova nel Padiglione 26 Stand b/53.
Secci è lieta di annunciare la sua partecipazione a Arte Fiera, dal 6 al 9 febbraio 2025. Per l’edizione di quest’anno, la galleria presenterà artisti come:
Giacomo Balla
Alberto Biasi
Giuseppe Capogrossi
Giulio D’Anna
Chico Da Silva
Filippo De Pisis
Leonor Fini
Lucio Fontana
Damien Hirst
Paul Jenkins
Fernand Leger
Osvaldo Licini
Gio’ Pomodoro
Concetto Pozzati
Enrico Prampolini
Gino Severini
Giulio Turcato
Tom Wesselmann
La galleria si trova nel Padiglione 26 Stand b/53.
- InquireInstallation views, Arte Fiera, Bologna, 2025. Ph Gabriele Abruzzese. Courtesy SECCI
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Giulio Turcato nacque da genitori veneti a Mantova il 16 marzo 1912. La famiglia si trasferì a Venezia quando aveva otto anni, dove frequentò il Liceo Artistico e, successivamente, la Scuola Libera del Nudo.
All’età di ventidue anni, fu chiamato alle armi e mandato a Palermo, dove contrasse la tubercolosi. La malattia lo tormentò per quasi un decennio, sottoponendolo a episodi intermittenti di polmonite durante i quali fu costretto a riposare. Il suo stretto rapporto con la malattia gli rivelò un mondo biologico di invisibilità. Osservò che “uno stato del genere mi fece pensare che non si possono attribuire elementi precisi e teorici a tutto ciò che vediamo.” Microbi, batteri e filamenti di vita invisibili a occhio nudo ricorsero nelle sue opere in seguito, come Composizione biologica e Batteriologico nel 1960, o Composizione microbica nel 1961. Nei periodi in cui non si trovava in sanatori, Turcato iniziò a esporre i suoi dipinti in mostre collettive e si trasferì da Venezia a Milano nel 1936, dove tenne la sua prima mostra personale nel 1937 esponendo Natura morta.
Lavorò come disegnatore per l’architetto Giovanni Muzio, l’inventore del Nuovo Design con Giò Ponti. Conobbe artisti del gruppo Corrente, un gruppo di intellettuali antifascisti tra cui Elio Vittorini e Renato Guttuso. Con molti di loro, Turcato si unì alla Resistenza nel 1943 e si trasferì a Roma, dove contribuì a smistare e distribuire le copie de l’Unità. Il quotidiano comunista sponsorizzò l’esposizione L’Arte contro le barbarie, tenutasi nell’agosto del 1944 alla Galleria di Roma, dove Guttuso, Mafai, Turcato e altri reinterpretarono famosi dipinti rivoluzionari.
Turcato fu in prima linea nello sviluppo artistico e in contatto con il mondo dell’arte internazionale nel decennio successivo alla liberazione dell’Italia. Fondò o aderì a movimenti e gruppi artistici sperimentali, dal Art Club di Enrico Prampolini (1945) al Fronte Nuovo delle Arti (1946) diretto da Giuseppe Marchiori. L’esposizione di Palma Bucarelli Pittura francese d’oggi nel 1946 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e un viaggio a Parigi nello stesso anno, finanziato dall’organizzazione comunista Fronte nazionale della gioventù, ampliarono i suoi orizzonti alle influenze delle avanguardie internazionali, come Arp, Picasso e Kandinsky.
Con i suoi compagni di viaggio, tra cui Carla Accardi, Pietro Consagra e Piero Dorazio, Turcato fondò il gruppo ‘marxista e formalista’ Forma 1 (1947), mettendo in discussione le posizioni comuniste accettate sull’arte figurativa. L’opera di Turcato fu inclusa nella prima Biennale di Venezia dopo la guerra nel 1948, dove espose quattro dipinti astratti – parte di una serie di Composizioni – nel Padiglione Italiano.
Quest’anno corrispose a un periodo tumultuoso per la politica italiana, quando il Partito Comunista Italiano (PCI) lottava per la supremazia contro il Partito Democratico Cristiano (DC). Le strategie culturali comuniste si intensificarono: gli artisti del PCI erano tenuti a riprodurre stili di realismo socialista ed evitare l’astrazione. Come si può vedere nella sua ricerca di uno stile indipendente tra il 1946 e il 1956, Turcato fu lacerato tra astrazione e realismo.
L’alleanza di Turcato con il PCI si rafforzò con una visita in Polonia nel 1948, insieme a 40 delegati italiani al Primo Congresso Mondiale per Intellettuali per la Pace tenutosi a Wroclaw. Questo viaggio produsse la sua serie Rovine di Varsavia. Alla Biennale di Venezia del 1950, il Comizio di Turcato, un raduno non rappresentativo di bandiere comuniste, fu esposto come parte del Fronte Nuovo delle Arti in una sala dedicata agli artisti astratti.
Con l’aumento della paranoia durante la Guerra Fredda, il lavoro di Turcato manifestò un intrinseco attrito tra il suo attaccamento all’ideologia comunista e il suo desiderio di entrare in contatto con il nuovo centro del mondo dell’arte: New York.
Nel 1952, durante la Guerra di Corea, Turcato dipinse Insetti dell’epidemia (1952) e Massacro al Napalm (1952), che agirono come condanne implicite antiamericane degli attacchi di guerra biologica presuntamente perpetrati dagli Stati Uniti sulla Corea del Nord. Nello stesso anno, l’artista si unì al Gruppo degli Otto di Lionello Venturi, con, tra gli altri, Antonio Corpora ed Emilio Vedova.
Dopo aver trascorso sei mesi in Cina per un viaggio artistico finanziato dal PCI nel 1956, Turcato dipinse Il Deserto dei Tartari e iniziò la sua serie di Reticoli. Turcato lasciò il PCI a causa della mancanza di libertà di espressione per gli artisti. Man mano che l’arte di Turcato si evolveva verso l’astrazione e la sperimentazione con colore, fluorescenza e forma, la sua fama crebbe: nel 1958 gli fu offerta una stanza personale alla XXIX Biennale di Venezia; nel 1959 espose a Documenta II; e nel 1961, con il supporto di Giulio Carlo Argan, ebbe una mostra al New Vision Centre di Londra.
Turcato iniziò a includere banconote di dollari americani false, come in Composizione Argento Con Dollaro nel 1962, anno in cui viaggiò a New York. Tuttavia, l’idea che catturò davvero l’immaginazione dell’artista, oltre alla scienza dell’economia, fu la scienza astronomica, il volo nello spazio. Nel 1961, anno in cui il cosmonauta sovietico Yuri Gagarin e l’astronauta americano Alan Shephard orbitarono attorno alla terra a un mese di distanza l’uno dall’altro, Turcato aveva dipinto Astronomica (1959), Cosmogonia (1960) e Tranquillanti per il mondo (1961). Avendo sentito che il colore veniva percepito diversamente nello spazio, Turcato iniziò a sperimentare con la sua serie Fuori dallo spettro nel 1962.
Nel 1964, lo stesso anno in cui Robert Rauschenberg vinse la Biennale di Venezia con il suo collage pop art Retroactive I, Turcato produsse la sua prima Superficie Lunare, realizzata con fette di materassi di schiuma scartati che imitavano la superficie craterizzata della luna. In quell’anno, Turcato e la cineasta Vana Caruso si sposarono. L’artista si unì poi a Vana in Egitto, dove lavorava con John Huston a La Bibbia. Dopo il viaggio, dipinse Porta d’Egitto e Pronunciamento, entrambi esposti alla Marlborough Gallery di Roma nell’ottobre del 1965. Un viaggio in Kenya nel 1970 ispirò la sua prima serie di Oceaniche. Queste sculture furono esposte alla Biennale di Venezia del 1972.
Come artista affermato a livello internazionale, Turcato ampliò i suoi confini creativi, progettando gioielli e scenografie, che culminarono nella performance di danza moderna Moduli in Viola/Omaggio a Kandinsky. Questa fu rappresentata per la prima volta durante la Biennale di Venezia nel 1984 al Teatro Goldoni con le composizioni musicali di Luciano Berio e la coreografia di Min Tanaka, e successivamente a Taormina nel 1985 al Teatro Antico con una coreografia di Yamanouchi.
I dipinti di Turcato degli anni ’80 e ’90 cercarono continuamente altre dimensioni nella sua sperimentazione con colore, texture, tecniche ed elementi scultorei.
L’ultima mostra personale significativa fu Vedendo alla galleria Banchi Nuovi di Roma nel 1992, esponendo opere come Dune e Le Pacte Signal. Nel 1994, le sue opere furono incluse nella mostra di Germano Celant The Italian Metamorphosis: 1943 – 1968 al Guggenheim di New York. Poco dopo la chiusura della mostra, il suo necrologio apparve sul The New York Times: Giulio Turcato, “un membro prominente dell’avanguardia italiana del dopoguerra”, morì all’età di 83 anni il 22 gennaio 1995 nella sua casa a Roma in Via del Pozzetto. Si era trasferito lì dal suo studio nella “piccola kasbah” di Via Margutta n. 48, dove aveva vissuto i suoi primi anni.
Giulio Turcato nacque da genitori veneti a Mantova il 16 marzo 1912. La famiglia si trasferì a Venezia quando aveva otto anni, dove frequentò il Liceo Artistico e, successivamente, la Scuola Libera del Nudo.
All’età di ventidue anni, fu chiamato alle armi e mandato a Palermo, dove contrasse la tubercolosi. La malattia lo tormentò per quasi un decennio, sottoponendolo a episodi intermittenti di polmonite durante i quali fu costretto a riposare. Il suo stretto rapporto con la malattia gli rivelò un mondo biologico di invisibilità. Osservò che “uno stato del genere mi fece pensare che non si possono attribuire elementi precisi e teorici a tutto ciò che vediamo.” Microbi, batteri e filamenti di vita invisibili a occhio nudo ricorsero nelle sue opere in seguito, come Composizione biologica e Batteriologico nel 1960, o Composizione microbica nel 1961. Nei periodi in cui non si trovava in sanatori, Turcato iniziò a esporre i suoi dipinti in mostre collettive e si trasferì da Venezia a Milano nel 1936, dove tenne la sua prima mostra personale nel 1937 esponendo Natura morta.
Lavorò come disegnatore per l’architetto Giovanni Muzio, l’inventore del Nuovo Design con Giò Ponti. Conobbe artisti del gruppo Corrente, un gruppo di intellettuali antifascisti tra cui Elio Vittorini e Renato Guttuso. Con molti di loro, Turcato si unì alla Resistenza nel 1943 e si trasferì a Roma, dove contribuì a smistare e distribuire le copie de l’Unità. Il quotidiano comunista sponsorizzò l’esposizione L’Arte contro le barbarie, tenutasi nell’agosto del 1944 alla Galleria di Roma, dove Guttuso, Mafai, Turcato e altri reinterpretarono famosi dipinti rivoluzionari.
Turcato fu in prima linea nello sviluppo artistico e in contatto con il mondo dell’arte internazionale nel decennio successivo alla liberazione dell’Italia. Fondò o aderì a movimenti e gruppi artistici sperimentali, dal Art Club di Enrico Prampolini (1945) al Fronte Nuovo delle Arti (1946) diretto da Giuseppe Marchiori. L’esposizione di Palma Bucarelli Pittura francese d’oggi nel 1946 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e un viaggio a Parigi nello stesso anno, finanziato dall’organizzazione comunista Fronte nazionale della gioventù, ampliarono i suoi orizzonti alle influenze delle avanguardie internazionali, come Arp, Picasso e Kandinsky.
Con i suoi compagni di viaggio, tra cui Carla Accardi, Pietro Consagra e Piero Dorazio, Turcato fondò il gruppo ‘marxista e formalista’ Forma 1 (1947), mettendo in discussione le posizioni comuniste accettate sull’arte figurativa. L’opera di Turcato fu inclusa nella prima Biennale di Venezia dopo la guerra nel 1948, dove espose quattro dipinti astratti – parte di una serie di Composizioni – nel Padiglione Italiano.
Quest’anno corrispose a un periodo tumultuoso per la politica italiana, quando il Partito Comunista Italiano (PCI) lottava per la supremazia contro il Partito Democratico Cristiano (DC). Le strategie culturali comuniste si intensificarono: gli artisti del PCI erano tenuti a riprodurre stili di realismo socialista ed evitare l’astrazione. Come si può vedere nella sua ricerca di uno stile indipendente tra il 1946 e il 1956, Turcato fu lacerato tra astrazione e realismo.
L’alleanza di Turcato con il PCI si rafforzò con una visita in Polonia nel 1948, insieme a 40 delegati italiani al Primo Congresso Mondiale per Intellettuali per la Pace tenutosi a Wroclaw. Questo viaggio produsse la sua serie Rovine di Varsavia. Alla Biennale di Venezia del 1950, il Comizio di Turcato, un raduno non rappresentativo di bandiere comuniste, fu esposto come parte del Fronte Nuovo delle Arti in una sala dedicata agli artisti astratti.
Con l’aumento della paranoia durante la Guerra Fredda, il lavoro di Turcato manifestò un intrinseco attrito tra il suo attaccamento all’ideologia comunista e il suo desiderio di entrare in contatto con il nuovo centro del mondo dell’arte: New York.
Nel 1952, durante la Guerra di Corea, Turcato dipinse Insetti dell’epidemia (1952) e Massacro al Napalm (1952), che agirono come condanne implicite antiamericane degli attacchi di guerra biologica presuntamente perpetrati dagli Stati Uniti sulla Corea del Nord. Nello stesso anno, l’artista si unì al Gruppo degli Otto di Lionello Venturi, con, tra gli altri, Antonio Corpora ed Emilio Vedova.
Dopo aver trascorso sei mesi in Cina per un viaggio artistico finanziato dal PCI nel 1956, Turcato dipinse Il Deserto dei Tartari e iniziò la sua serie di Reticoli. Turcato lasciò il PCI a causa della mancanza di libertà di espressione per gli artisti. Man mano che l’arte di Turcato si evolveva verso l’astrazione e la sperimentazione con colore, fluorescenza e forma, la sua fama crebbe: nel 1958 gli fu offerta una stanza personale alla XXIX Biennale di Venezia; nel 1959 espose a Documenta II; e nel 1961, con il supporto di Giulio Carlo Argan, ebbe una mostra al New Vision Centre di Londra.
Turcato iniziò a includere banconote di dollari americani false, come in Composizione Argento Con Dollaro nel 1962, anno in cui viaggiò a New York. Tuttavia, l’idea che catturò davvero l’immaginazione dell’artista, oltre alla scienza dell’economia, fu la scienza astronomica, il volo nello spazio. Nel 1961, anno in cui il cosmonauta sovietico Yuri Gagarin e l’astronauta americano Alan Shephard orbitarono attorno alla terra a un mese di distanza l’uno dall’altro, Turcato aveva dipinto Astronomica (1959), Cosmogonia (1960) e Tranquillanti per il mondo (1961). Avendo sentito che il colore veniva percepito diversamente nello spazio, Turcato iniziò a sperimentare con la sua serie Fuori dallo spettro nel 1962.
Nel 1964, lo stesso anno in cui Robert Rauschenberg vinse la Biennale di Venezia con il suo collage pop art Retroactive I, Turcato produsse la sua prima Superficie Lunare, realizzata con fette di materassi di schiuma scartati che imitavano la superficie craterizzata della luna. In quell’anno, Turcato e la cineasta Vana Caruso si sposarono. L’artista si unì poi a Vana in Egitto, dove lavorava con John Huston a La Bibbia. Dopo il viaggio, dipinse Porta d’Egitto e Pronunciamento, entrambi esposti alla Marlborough Gallery di Roma nell’ottobre del 1965. Un viaggio in Kenya nel 1970 ispirò la sua prima serie di Oceaniche. Queste sculture furono esposte alla Biennale di Venezia del 1972.
Come artista affermato a livello internazionale, Turcato ampliò i suoi confini creativi, progettando gioielli e scenografie, che culminarono nella performance di danza moderna Moduli in Viola/Omaggio a Kandinsky. Questa fu rappresentata per la prima volta durante la Biennale di Venezia nel 1984 al Teatro Goldoni con le composizioni musicali di Luciano Berio e la coreografia di Min Tanaka, e successivamente a Taormina nel 1985 al Teatro Antico con una coreografia di Yamanouchi.
I dipinti di Turcato degli anni ’80 e ’90 cercarono continuamente altre dimensioni nella sua sperimentazione con colore, texture, tecniche ed elementi scultorei.
L’ultima mostra personale significativa fu Vedendo alla galleria Banchi Nuovi di Roma nel 1992, esponendo opere come Dune e Le Pacte Signal. Nel 1994, le sue opere furono incluse nella mostra di Germano Celant The Italian Metamorphosis: 1943 – 1968 al Guggenheim di New York. Poco dopo la chiusura della mostra, il suo necrologio apparve sul The New York Times: Giulio Turcato, “un membro prominente dell’avanguardia italiana del dopoguerra”, morì all’età di 83 anni il 22 gennaio 1995 nella sua casa a Roma in Via del Pozzetto. Si era trasferito lì dal suo studio nella “piccola kasbah” di Via Margutta n. 48, dove aveva vissuto i suoi primi anni.

Giò Pomodoro (1930-2002) è nato il 17 novembre 1930 a Orciano di Pesaro, nel Montefeltro, vicino a Urbino.
Nel 1945 la sua famiglia si trasferisce a Pesaro, dove Gio’ frequenta l’Istituto Tecnico per Geometri, diplomandosi nel 1951. Fra il 1952 e il 1953 presta il servizio militare fra Siena, Bologna e Firenze. In quest’ultima città visita quotidianamente i musei e frequenta l’ambiente artistico che gravita attorno alla Galleria Numero, dove espone anche le sue prime ricerche “informali”.
Dopo la morte del padre Gio’ si stabilisce a Milano con la madre, la sorella e il fratello Arnaldo. L’ambiente artistico e culturale milanese che frequenta in questo periodo è particolarmente attivo. Dopo le mostre tenute insieme al fratello alla Galleria del Naviglio di Milano e alla Galleria Il Cavallino di Venezia, dirette dai fratelli Carlo e Renato Cardazzo, Gio’ è invitato a partecipare alla Biennale di Venezia del 1956, dove espone una serie di argenti fusi su osso di seppia dedicati al poeta Ezra Pound, eseguiti a partire dal 1954.
L’anno successivo collabora attivamente alla rivista Il Gestoe partecipa alla mostra Arte Nuclearealla Galleria San Fedele di Milano. Con Dorazio, Novelli, Turcato, Tancredi, Perilli, Fontana e suo fratello Arnaldo andrà a organizzare le mostre del gruppo Continuità, presentate da Guido Ballo, Giulio Carlo Argan e Franco Russoli.
Nel 1958 una sua mostra personale, tenutasi alla Galleria del Naviglio, viene presentata dall’architetto Gio Ponti.
Alla morte della madre si trasferisce nello studio di via Orti 19, che condividerà con il fratello fino al 1964. Si distacca quindi dal gruppo costituito attorno alla rivista Il Gestoper divergenze teoriche e diverso indirizzo di ricerca. Esaurita l’indagine relativa al segno-gestoautomatico, Gio’ approfondisce il problema dell’organizzazione razionale dei Segni e del “far segni” in negativo con una serie di rilievi a cui darà il nome di Fluidità contrapposta. Uno di questi è esposto a Documenta II, a Kassel, nel 1959.
Nella seconda metà del ‘58 Gio’ studia e realizza le prime superfici in tensioneche presenta a Parigi alla Galerie Internationale d’Art Contemporain nel 1959. Sempre a Parigi, alla prima Biennale dei Giovani Artisti del 1959, espone una tensionein bronzo e vince il primo premio per la scultura insieme ad Anthony Caro. Nel 1961 tiene un’altra importante personale presso la Galerie Internationale. Verso la fine dello stesso anno nasce suo figlio Bruto.
Nel 1962 espone a Milano alla Galleria Blu e a Ginevra presso il Musée de l’Athénée e viene invitato alla XXXI Biennale di Venezia con una sala personale, presentato in catalogo da Guido Ballo. Nello stesso anno stringe un contratto di esclusiva internazionale con la Galleria Marlborough, che interromperà nel 1967.
Nel 1963 espone a Bruxelles al Palais des Beaux-Arts, con presentazione critica di Giulio Carlo Argan.
Nel 1964 la Tate Gallery di Londra acquista l’opera Onedel 1960, mentre a Documenta III, a Kassel, viene esposta una serie di superfici in tensione. Realizza inoltre due grandi opere della serie Folle, delle quali una sarà acquistata dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma, l’altra, la Grande Ghibellinain marmo bianco, dalla collezione Nelson Rockefeller.
Nel 1965 inizia i Radialie i primi studi sulle strutture portanti, esponendo al Louisiana Museum di Copenaghen e al Musée des Beaux-Arts di La Chaux-de-Fonds. Lavora sino al 1966 al ciclo di opere I Quadrati, utilizzando rigorosamente la dimensione di due metri per due; queste opere sono esposte per la prima volta al Kunst- und Museumverein di Wuppertal.
Dopo due viaggi negli Stati Uniti, dove soggiorna per alcuni mesi, esegue, fra il 1966 e il 1967, l’opera Black Liberator, dedicata ai neri d’America. Nel 1967 espone alla galleria Marlborough a New York. Nello stesso anno stringe un contratto di esclusiva con la Martha Jackson Gallery di New York, presso la quale esporrà, nel 1971, i suoi nuovi lavori – dai Contattial Sole di Cerveteri,per Gastone Novelli– nati dall’approfondimento delle ricerche sulla struttura portantee sul campo in tensione.
Nel 1968 inizia la collaborazione con Beatrice Monti e la Galleria dell’Ariete di Milano, dove espone diverse volte.
Dal 1970 in poi, nel suo studio versiliese di Querceta ai piedi delle Apuane, Pomodoro realizza opere di grandi dimensioni, in pietra, marmo e bronzo. Nel 1972 inizia due nuovi cicli di opere: gli Archie il Sole Produttore –Comune Raccolto. Nel 1974 espone opere in pietra alla Galleria del Naviglio di Milano, con presentazione critica di Guido Ballo; nell’estate dello stesso anno si tiene a Ravenna, alla Loggetta Lombardesca, la sua prima mostra antologica, dove vengono esposte opere a partire dal 1958. A questa fanno seguito, due anni più tardi, altre due importanti mostre personali, al Castello dell’Imperatore, nel centro storico di Prato e al Musée d’Ixelles a Bruxelles, quest’ultima presentata da Jean Coquelet.
Nel 1976 espone una serie di Soli alla Galleria Stendhal di Milano, con testo critico di Paolo Fossati.
Nel 1977 realizza, in collaborazione con gli abitanti di Ales, in Sardegna, il Piano d’uso collettivo, grande opera pubblica dedicata ad Antonio Gramsci, di cui esporrà i materiali progettuali e di reportage fotografico a Ca’ Pesaro a Venezia. Sempre nel ‘77 esegue l’opera monumentale La Porta e il Soleper un committente privato.
Nel 1978 Gio’ cura l’allestimento scenografico dell’opera di Verdi La Forza del destino, rappresentata nell’estate all’Arena di Verona. Nello stesso anno viene invitato a esporre alla Biennale di Venezia con una sala personale.
Nel 1979 inizia la progettazione dell’opera monumentale Teatro del Sole–21 Giugno, Solstiziod’Estate, una piazza-fontana dedicata a Goethe, commissionatagli dalla municipalità di Francoforte (il lavoro sarà terminato e inaugurato nel maggio del 1983).
Dal 1974 al 1980 sono numerosissime le esposizioni collettive a cui Gio’ Pomodoro partecipa, in Italia e all’estero. Nel 1980, in Piazza dei Signori a Verona, Gio’ espone una delle sue opere più significative: il Luogo di Misure. Nello stesso anno, dopo aver curato la scenografia delFlautoMagicodi Mozart, rappresentato al teatro La Fenice di Venezia, realizza il complesso architettonico Ponte dei Martiri – Omaggio alla Resistenza, nell’omonima piazza della città di Ravenna.
Nel 1981 la Galleria Farsetti di Focette (Pietrasanta) gli dedica una personale, presentata da Carlo Ludovico Ragghianti.
Nel 1982 inizia altri due importanti lavori: la scultura d’uso collettivo Spirale ‘82per la Società Aeroportuale S.E.A., collocata di fronte all’aeroporto milanese di Malpensa, e Sole-Luna-Albero, complesso monumentale di piazza Ramazzotti a Monza, completato nel 1986. Nello stesso anno espone alla mostra Arte Italiana 1960-1982alla Hayward Gallery di Londra.
Nel 1983 Pomodoro – dopo essersi trasferito nel nuovo studio milanese di via San Marco 50 – espone, insieme a Dorazio e a Nigro, allo Studio d’Arte Contemporanea Dabbeni di Lugano e quindi a Volterra, con Tilson e Ipoustéguy, nell’ambito della mostra Le materie dell’opera, presentata da Antonio Del Guercio.
Nel 1984 viene nuovamente invitato, con una sala personale, alla XLI Biennale di Venezia e partecipa all’esposizione IlLinguaggio della Geometriaal Kunstmuseum di Berna. Sempre dello stesso anno è la grande mostra antologica, con opere dal 1954 al 1984, organizzata dalla città di Pisa, all’interno delle sale di Palazzo Lanfranchi, a cui fa seguito una mostra sul mitologema di Hermes alla Galleria Stendhal di Milano.
Nel 1985 lo Studio d’Arte Contemporanea Dabbeni di Lugano allestisce una sua personale; contemporaneamente la città di Lugano presenta per la prima volta al pubblico – in modo completo – il ciclo di sculture dedicato a Hermes, all’interno del Palazzo Civico. Questa mostra è un omaggio di Gio’ Pomodoro a Károly Kerényi, eminente studioso del mito e della religione greca, vissuto lungamente ad Ascona. Sempre a Lugano, nella villa La Favorita, viene installata permanentemente la scultura monumentale Montefeltro – i passi e il volgersi.
Nel giugno del 1986 Gio’ viene invitato a esporre le sue opere a Veksø, alla mostraVeksølund–Kopenaghen, presentata da Jetta Sorensen.
Nel 1987, presso l’antico Oratorio della Passione della basilica milanese di Sant’Ambrogio, in collaborazione con il Comune di Milano, viene ospitata la mostra tematica Soli,con presentazionedi Luciano Caramel.Nell’autunno dello stesso anno si inaugura alla Galleria l’Isola di Roma una sua mostra personale, con testo critico di Giovanni Carandente. Nel dicembre dello stesso anno si tiene a Messina, nelle sale del Palazzo dei Leoni, una mostra antologica, presentata da Tommaso Trini.
Nel 1989 il Comune di Milano gli dedica un’altra importante antologica dal titolo La scultura e ilsuo disegno, presentata da Guido Ballo e ospitata all’interno della Rotonda della Besana. L’estate dello stesso anno vede inaugurarsi, in piazza Adriano a Torino, la grande scultura in bronzo Sole Aerospazio, donata dalla Società Aeritalia alla città in occasione del XX anniversario della sua costituzione e presentata in catalogo con un testo critico di Paolo Fossati.
Del 1990 è la mostra Luoghi scolpiti fra Realtà e Utopia,curata da Caterina Zappia, ospitata all’interno della villa Renatico Martini, a Monsummano Terme.
Nel 1991 la Fondazione Veranneman, in Belgio, dedica a Gio’ una importante mostra personale; nell’estate dello stesso anno viene inaugurato il complesso monumentaleLuogo dei Quattro PuntiCardinali, collocato all’interno del parco pubblico di Taino, di fronte al lago Maggiore e al massiccio del Monte Rosa: tale opera viene recensita da un testo critico di Dario Micacchi.
Nel 1992 il Museo Archeologico di Milano, in collaborazione con l’azienda Johnson, ospita una personale di medaglie eseguite da Gio’ a partire dal 1979 e viene inoltre installato a Pesaro il monumento funebre che l’artista dedica al tenore Mario Del Monaco. Nello stesso anno Gio’ espone a Roma alla Galleria Ugolini e alla XVIII Triennale di Milano; infine, a novembre, viene inaugurata la stele monumentale Spirale per Galileo Galilei,opera in bronzo e granito collocata nel centro storico di Padova, di fronte al palazzo dell’Università: questa scultura è frutto di una lunga collaborazione fra Pomodoro e l’Ateneo, lo stesso dove Galilei ebbe la sua cattedra dal 1592 al 1610 e gettò le basi per la nascita della scienza moderna.
Nel 1993 la Genia Schreiber University Art Gallery di Tel Aviv ospita le opere di Gio’ all’interno di una importante mostra personale, intitolata Gio’ Pomodoro – Sculptures & Drawings, curata da Mordechai Omer. Contemporaneamente a questa mostra viene inaugurata l’opera Scala Solare – Omaggioa Keplero, acquisita da un privato donatore e installata di fronte all’ingresso principale dell’Università di Tel Aviv.
Nel marzo del 1994 viene installato, all’ingresso della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, il modello in marmo della scultura Sole Aerospazio,dono di Pomodoro alla stessa Galleria Civica; in concomitanza a questo evento si inaugura, presso la torinese Galleria Berman, la mostra tematica Tensioni 1958-1993, presentata da Angelo Dragone.
Nello stesso anno Pomodoro partecipa alla mostra The Italian Metamorphosis,1943-1968, che si tiene al Guggenheim Museum di New York, ed espone in autunno una selezione di sue opere a Milano, all’interno delle botteghe antiquarie del quartiere storico di Sant’Ambrogio, presentata da Alberto Fiz.
Nel 1995 è invitato a far parte del board dell’International Sculpture Center (I.S.C.) di Washington D.C.
Dopo una personale tenutasi a maggio presso la Galleria Spazia di Bologna, presentata da Giovanni Maria Accame, nell’autunno del 1995 Gio’ Pomodoro è invitato dal direttore dello Yorkshire Sculpture Park, Peter Murray, a esporre le sue opere nel prestigioso parco espositivo britannico, nelle vicinanze di Wakefield e, successivamente, presso la sede dell’Accademia Italiana a Londra.
Contemporaneamente il Comune di Venezia, in collaborazione con la Biennale di Venezia e l’azienda Uno A Erre S.p.A. di Arezzo, organizza una importante mostra antologica, intitolata Ornamenti, all’interno degli spazi espositivi della Fondazione Querini Stampalia, volta a documentare la ricca produzione orafa dello scultore marchigiano dal 1954 in poi. Nel corso dell’anno successivo, sempre con la Uno A Erre e la Cesari & Rinaldi, la mostra si trasferirà ad Arezzo, Tokyo e New York.
Il 1996 è l’anno della grande mostra antologica allestita nella Sala d’arme di Palazzo Vecchio a Firenze. In questa mostra viene presentato, insieme ad altre opere in bronzo e marmo, un grande numero di dipinti su carta a mano di notevoli dimensioni, sul tema caro a Pomodoro del Sole. Nella stessa sede viene esposto anche il progetto e il modello in scala per l’opera monumentale Sole perGalileo Galilei.
Durante l’estate dello stesso anno Pomodoro realizza all’isola d’Elba, all’interno della cava di San Piero, una serie di grandi opere in granito e ferro mediante l’antica tecnica lavorativa a secco, dedicate soprattutto alle originarie attività dell’isola.
Nel 1997, nel mese di settembre, viene inaugurata la grande scultura Sole per Galileo Galilei, in piazza Poggi sul lungarno Serristori: l’opera, in bronzo e pietra serena, è alta circa nove metri, ed è stata donata da Gio’ Pomodoro e da Franca e Tullio Berrini alla città di Firenze.
Nella primavera del 1998 le opere di Gio’ Pomodoro vengono esposte a Padova nelle sale del Palazzo del Monte di Pietà, sede centrale della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che si è fatta promotrice della prestigiosa manifestazione. La mostra documenta, attraverso le sculture e i disegni del Maestro e le fotografie di Lorenzo Cappellini, più di quarant’anni di ricerca plastica e pittorica. Per l’occasione, nella piazza del Duomo, viene esposta una sua grande opera di marmo Sole Caduto–a Galileo. Nel luglio dello stesso anno, la Regione Valle d’Aosta e il centro espositivo St. Benin, ospitano la mostra Gio’ Pomodoro: pietre e marmi 1965-1997, presentata da Antonio Del Guercio. Oltre alle sculture e alle grandi opere pittoriche esposte all’interno del Museo, la città di Aosta accoglie, in tre spazi all’aperto, altrettante opere monumentali dello scultore marchigiano.
Durante l’autunno del 1998 si inaugura a Bergamo, negli spazi della Galleria Fumagalli, con la quale inizia a collaborare attivamente, la mostra Gio’ Pomodoro– sculture e carte 1958/1998; contemporaneamente il Ministero della Cultura egiziano invita Pomodoro, quale ospite d’onore, alla VII Biennale Internazionale del Cairo, dove è allestita una sala personale con grandi opere di scultura e pittura. In novembre la Galleria Berman di Torino dedica a Gio’ la mostra Studi per grandi opere 1954-1994.
Nel 1999, all’interno dell’Arte Fiera di Bologna, alcune grandi sculture in bronzo vengono presentate in un padiglione che la Galleria Fumagalli dedica a Pomodoro, mentre durante la primavera dello stesso anno la Fondazione Veranneman ospita per la seconda volta una grande mostra di Gio’ dove, a fianco delle grandi carte e delle sculture, viene esposta anche una selezione di gioielli realizzati dallo scultore. Al termine della mostra la Fondazione Veranneman acquista per il suo parco di scultura la grande opera in marmo bianco di Carrara Sole caduto – a Galileo. Nel mese di novembre viene invitato, quale Master Artist, a tenere uno stage all’Atlantic Center for the Arts di Smyrna Beach in Florida.
Nell’aprile del 2000 Gio’ Pomodoro riceve il Premio Internazionale Guglielmo Marconi per la Scultura; a maggio il Comune di Laives e la Provincia Autonoma di Bolzano organizzano una sua mostra dal titoloSul sole e sul vuoto, curata da Pier Luigi Siena, con testo di Marisa Vescovo. Acquistano inoltre la grande opera in bronzo Scala solare – omaggio a Kepleroattualmente installata di fronte alla scuola di Laives.
Nel mese di giugno, su invito del Rettore, Professor Carlo Bo, presso l’Aula Magna del Rettorato della Libera Università di Urbino viene presentata la monografia, curata da Giovanni Maria Accame, Gio’ Pomodoro: opere disegnate 1953-2000.
Nel luglio dello stesso anno viene ospitata, nel museo di San Pietro a Colle di Val d’Elsa, Tensioni e Soli, una grande mostra di sculture e disegni.
Nel dicembre del 2000 Gio’ partecipa alla prestigiosa esposizione Novecento: Arte e Storia in Italia, curata da Maurizio Calvesi e Paul Ginsborg e realizzata dal Comune di Roma.
Nel febbraio del 2001 l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia dedica a Gio’ Pomodoro una personale di opere pittoriche e in ottobre, in occasione del vertice G8 e all’interno dell’esposizione Artisti Italiani del XX secolo: dalla Farnesina alla Stazione Marittima, viene inaugurata la scultura monumentale Sole – agli Italiani nel mondo, donata alla città di Genova e al suo porto dalla società Grandi Navi Veloci. Questa è l’ultima opera monumentale che l’artista riesce a vedere installata.
Nell’aprile del 2002 l’International Sculpture Center conferisce a Gio’ il prestigioso premio alla carriera Lifetime Achievement Award in Contemporary Sculpture: è la prima volta che il premio viene assegnato a un artista italiano. In questa occasione, a Milano, la Galleria Giorgio Marconi dedica un omaggio a Gio’ per il conferimento del premio, allestendo una personale di sculture e grandi acquerelli. A luglio, infine, Gio’ partecipa alla quinta edizione della mostra In Chartis Mevaniae,organizzata dai comuni di Bevagna e Spoleto e curata da Giovanni Carandente.
Gio’ Pomodoro muore nel suo studio di Milano il 21 dicembre 2002.
Giò Pomodoro (1930-2002) è nato il 17 novembre 1930 a Orciano di Pesaro, nel Montefeltro, vicino a Urbino.
Nel 1945 la sua famiglia si trasferisce a Pesaro, dove Gio’ frequenta l’Istituto Tecnico per Geometri, diplomandosi nel 1951. Fra il 1952 e il 1953 presta il servizio militare fra Siena, Bologna e Firenze. In quest’ultima città visita quotidianamente i musei e frequenta l’ambiente artistico che gravita attorno alla Galleria Numero, dove espone anche le sue prime ricerche “informali”.
Dopo la morte del padre Gio’ si stabilisce a Milano con la madre, la sorella e il fratello Arnaldo. L’ambiente artistico e culturale milanese che frequenta in questo periodo è particolarmente attivo. Dopo le mostre tenute insieme al fratello alla Galleria del Naviglio di Milano e alla Galleria Il Cavallino di Venezia, dirette dai fratelli Carlo e Renato Cardazzo, Gio’ è invitato a partecipare alla Biennale di Venezia del 1956, dove espone una serie di argenti fusi su osso di seppia dedicati al poeta Ezra Pound, eseguiti a partire dal 1954.
L’anno successivo collabora attivamente alla rivista Il Gestoe partecipa alla mostra Arte Nuclearealla Galleria San Fedele di Milano. Con Dorazio, Novelli, Turcato, Tancredi, Perilli, Fontana e suo fratello Arnaldo andrà a organizzare le mostre del gruppo Continuità, presentate da Guido Ballo, Giulio Carlo Argan e Franco Russoli.
Nel 1958 una sua mostra personale, tenutasi alla Galleria del Naviglio, viene presentata dall’architetto Gio Ponti.
Alla morte della madre si trasferisce nello studio di via Orti 19, che condividerà con il fratello fino al 1964. Si distacca quindi dal gruppo costituito attorno alla rivista Il Gestoper divergenze teoriche e diverso indirizzo di ricerca. Esaurita l’indagine relativa al segno-gestoautomatico, Gio’ approfondisce il problema dell’organizzazione razionale dei Segni e del “far segni” in negativo con una serie di rilievi a cui darà il nome di Fluidità contrapposta. Uno di questi è esposto a Documenta II, a Kassel, nel 1959.
Nella seconda metà del ‘58 Gio’ studia e realizza le prime superfici in tensioneche presenta a Parigi alla Galerie Internationale d’Art Contemporain nel 1959. Sempre a Parigi, alla prima Biennale dei Giovani Artisti del 1959, espone una tensionein bronzo e vince il primo premio per la scultura insieme ad Anthony Caro. Nel 1961 tiene un’altra importante personale presso la Galerie Internationale. Verso la fine dello stesso anno nasce suo figlio Bruto.
Nel 1962 espone a Milano alla Galleria Blu e a Ginevra presso il Musée de l’Athénée e viene invitato alla XXXI Biennale di Venezia con una sala personale, presentato in catalogo da Guido Ballo. Nello stesso anno stringe un contratto di esclusiva internazionale con la Galleria Marlborough, che interromperà nel 1967.
Nel 1963 espone a Bruxelles al Palais des Beaux-Arts, con presentazione critica di Giulio Carlo Argan.
Nel 1964 la Tate Gallery di Londra acquista l’opera Onedel 1960, mentre a Documenta III, a Kassel, viene esposta una serie di superfici in tensione. Realizza inoltre due grandi opere della serie Folle, delle quali una sarà acquistata dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma, l’altra, la Grande Ghibellinain marmo bianco, dalla collezione Nelson Rockefeller.
Nel 1965 inizia i Radialie i primi studi sulle strutture portanti, esponendo al Louisiana Museum di Copenaghen e al Musée des Beaux-Arts di La Chaux-de-Fonds. Lavora sino al 1966 al ciclo di opere I Quadrati, utilizzando rigorosamente la dimensione di due metri per due; queste opere sono esposte per la prima volta al Kunst- und Museumverein di Wuppertal.
Dopo due viaggi negli Stati Uniti, dove soggiorna per alcuni mesi, esegue, fra il 1966 e il 1967, l’opera Black Liberator, dedicata ai neri d’America. Nel 1967 espone alla galleria Marlborough a New York. Nello stesso anno stringe un contratto di esclusiva con la Martha Jackson Gallery di New York, presso la quale esporrà, nel 1971, i suoi nuovi lavori – dai Contattial Sole di Cerveteri,per Gastone Novelli– nati dall’approfondimento delle ricerche sulla struttura portantee sul campo in tensione.
Nel 1968 inizia la collaborazione con Beatrice Monti e la Galleria dell’Ariete di Milano, dove espone diverse volte.
Dal 1970 in poi, nel suo studio versiliese di Querceta ai piedi delle Apuane, Pomodoro realizza opere di grandi dimensioni, in pietra, marmo e bronzo. Nel 1972 inizia due nuovi cicli di opere: gli Archie il Sole Produttore –Comune Raccolto. Nel 1974 espone opere in pietra alla Galleria del Naviglio di Milano, con presentazione critica di Guido Ballo; nell’estate dello stesso anno si tiene a Ravenna, alla Loggetta Lombardesca, la sua prima mostra antologica, dove vengono esposte opere a partire dal 1958. A questa fanno seguito, due anni più tardi, altre due importanti mostre personali, al Castello dell’Imperatore, nel centro storico di Prato e al Musée d’Ixelles a Bruxelles, quest’ultima presentata da Jean Coquelet.
Nel 1976 espone una serie di Soli alla Galleria Stendhal di Milano, con testo critico di Paolo Fossati.
Nel 1977 realizza, in collaborazione con gli abitanti di Ales, in Sardegna, il Piano d’uso collettivo, grande opera pubblica dedicata ad Antonio Gramsci, di cui esporrà i materiali progettuali e di reportage fotografico a Ca’ Pesaro a Venezia. Sempre nel ‘77 esegue l’opera monumentale La Porta e il Soleper un committente privato.
Nel 1978 Gio’ cura l’allestimento scenografico dell’opera di Verdi La Forza del destino, rappresentata nell’estate all’Arena di Verona. Nello stesso anno viene invitato a esporre alla Biennale di Venezia con una sala personale.
Nel 1979 inizia la progettazione dell’opera monumentale Teatro del Sole–21 Giugno, Solstiziod’Estate, una piazza-fontana dedicata a Goethe, commissionatagli dalla municipalità di Francoforte (il lavoro sarà terminato e inaugurato nel maggio del 1983).
Dal 1974 al 1980 sono numerosissime le esposizioni collettive a cui Gio’ Pomodoro partecipa, in Italia e all’estero. Nel 1980, in Piazza dei Signori a Verona, Gio’ espone una delle sue opere più significative: il Luogo di Misure. Nello stesso anno, dopo aver curato la scenografia delFlautoMagicodi Mozart, rappresentato al teatro La Fenice di Venezia, realizza il complesso architettonico Ponte dei Martiri – Omaggio alla Resistenza, nell’omonima piazza della città di Ravenna.
Nel 1981 la Galleria Farsetti di Focette (Pietrasanta) gli dedica una personale, presentata da Carlo Ludovico Ragghianti.
Nel 1982 inizia altri due importanti lavori: la scultura d’uso collettivo Spirale ‘82per la Società Aeroportuale S.E.A., collocata di fronte all’aeroporto milanese di Malpensa, e Sole-Luna-Albero, complesso monumentale di piazza Ramazzotti a Monza, completato nel 1986. Nello stesso anno espone alla mostra Arte Italiana 1960-1982alla Hayward Gallery di Londra.
Nel 1983 Pomodoro – dopo essersi trasferito nel nuovo studio milanese di via San Marco 50 – espone, insieme a Dorazio e a Nigro, allo Studio d’Arte Contemporanea Dabbeni di Lugano e quindi a Volterra, con Tilson e Ipoustéguy, nell’ambito della mostra Le materie dell’opera, presentata da Antonio Del Guercio.
Nel 1984 viene nuovamente invitato, con una sala personale, alla XLI Biennale di Venezia e partecipa all’esposizione IlLinguaggio della Geometriaal Kunstmuseum di Berna. Sempre dello stesso anno è la grande mostra antologica, con opere dal 1954 al 1984, organizzata dalla città di Pisa, all’interno delle sale di Palazzo Lanfranchi, a cui fa seguito una mostra sul mitologema di Hermes alla Galleria Stendhal di Milano.
Nel 1985 lo Studio d’Arte Contemporanea Dabbeni di Lugano allestisce una sua personale; contemporaneamente la città di Lugano presenta per la prima volta al pubblico – in modo completo – il ciclo di sculture dedicato a Hermes, all’interno del Palazzo Civico. Questa mostra è un omaggio di Gio’ Pomodoro a Károly Kerényi, eminente studioso del mito e della religione greca, vissuto lungamente ad Ascona. Sempre a Lugano, nella villa La Favorita, viene installata permanentemente la scultura monumentale Montefeltro – i passi e il volgersi.
Nel giugno del 1986 Gio’ viene invitato a esporre le sue opere a Veksø, alla mostraVeksølund–Kopenaghen, presentata da Jetta Sorensen.
Nel 1987, presso l’antico Oratorio della Passione della basilica milanese di Sant’Ambrogio, in collaborazione con il Comune di Milano, viene ospitata la mostra tematica Soli,con presentazionedi Luciano Caramel.Nell’autunno dello stesso anno si inaugura alla Galleria l’Isola di Roma una sua mostra personale, con testo critico di Giovanni Carandente. Nel dicembre dello stesso anno si tiene a Messina, nelle sale del Palazzo dei Leoni, una mostra antologica, presentata da Tommaso Trini.
Nel 1989 il Comune di Milano gli dedica un’altra importante antologica dal titolo La scultura e ilsuo disegno, presentata da Guido Ballo e ospitata all’interno della Rotonda della Besana. L’estate dello stesso anno vede inaugurarsi, in piazza Adriano a Torino, la grande scultura in bronzo Sole Aerospazio, donata dalla Società Aeritalia alla città in occasione del XX anniversario della sua costituzione e presentata in catalogo con un testo critico di Paolo Fossati.
Del 1990 è la mostra Luoghi scolpiti fra Realtà e Utopia,curata da Caterina Zappia, ospitata all’interno della villa Renatico Martini, a Monsummano Terme.
Nel 1991 la Fondazione Veranneman, in Belgio, dedica a Gio’ una importante mostra personale; nell’estate dello stesso anno viene inaugurato il complesso monumentaleLuogo dei Quattro PuntiCardinali, collocato all’interno del parco pubblico di Taino, di fronte al lago Maggiore e al massiccio del Monte Rosa: tale opera viene recensita da un testo critico di Dario Micacchi.
Nel 1992 il Museo Archeologico di Milano, in collaborazione con l’azienda Johnson, ospita una personale di medaglie eseguite da Gio’ a partire dal 1979 e viene inoltre installato a Pesaro il monumento funebre che l’artista dedica al tenore Mario Del Monaco. Nello stesso anno Gio’ espone a Roma alla Galleria Ugolini e alla XVIII Triennale di Milano; infine, a novembre, viene inaugurata la stele monumentale Spirale per Galileo Galilei,opera in bronzo e granito collocata nel centro storico di Padova, di fronte al palazzo dell’Università: questa scultura è frutto di una lunga collaborazione fra Pomodoro e l’Ateneo, lo stesso dove Galilei ebbe la sua cattedra dal 1592 al 1610 e gettò le basi per la nascita della scienza moderna.
Nel 1993 la Genia Schreiber University Art Gallery di Tel Aviv ospita le opere di Gio’ all’interno di una importante mostra personale, intitolata Gio’ Pomodoro – Sculptures & Drawings, curata da Mordechai Omer. Contemporaneamente a questa mostra viene inaugurata l’opera Scala Solare – Omaggioa Keplero, acquisita da un privato donatore e installata di fronte all’ingresso principale dell’Università di Tel Aviv.
Nel marzo del 1994 viene installato, all’ingresso della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, il modello in marmo della scultura Sole Aerospazio,dono di Pomodoro alla stessa Galleria Civica; in concomitanza a questo evento si inaugura, presso la torinese Galleria Berman, la mostra tematica Tensioni 1958-1993, presentata da Angelo Dragone.
Nello stesso anno Pomodoro partecipa alla mostra The Italian Metamorphosis,1943-1968, che si tiene al Guggenheim Museum di New York, ed espone in autunno una selezione di sue opere a Milano, all’interno delle botteghe antiquarie del quartiere storico di Sant’Ambrogio, presentata da Alberto Fiz.
Nel 1995 è invitato a far parte del board dell’International Sculpture Center (I.S.C.) di Washington D.C.
Dopo una personale tenutasi a maggio presso la Galleria Spazia di Bologna, presentata da Giovanni Maria Accame, nell’autunno del 1995 Gio’ Pomodoro è invitato dal direttore dello Yorkshire Sculpture Park, Peter Murray, a esporre le sue opere nel prestigioso parco espositivo britannico, nelle vicinanze di Wakefield e, successivamente, presso la sede dell’Accademia Italiana a Londra.
Contemporaneamente il Comune di Venezia, in collaborazione con la Biennale di Venezia e l’azienda Uno A Erre S.p.A. di Arezzo, organizza una importante mostra antologica, intitolata Ornamenti, all’interno degli spazi espositivi della Fondazione Querini Stampalia, volta a documentare la ricca produzione orafa dello scultore marchigiano dal 1954 in poi. Nel corso dell’anno successivo, sempre con la Uno A Erre e la Cesari & Rinaldi, la mostra si trasferirà ad Arezzo, Tokyo e New York.
Il 1996 è l’anno della grande mostra antologica allestita nella Sala d’arme di Palazzo Vecchio a Firenze. In questa mostra viene presentato, insieme ad altre opere in bronzo e marmo, un grande numero di dipinti su carta a mano di notevoli dimensioni, sul tema caro a Pomodoro del Sole. Nella stessa sede viene esposto anche il progetto e il modello in scala per l’opera monumentale Sole perGalileo Galilei.
Durante l’estate dello stesso anno Pomodoro realizza all’isola d’Elba, all’interno della cava di San Piero, una serie di grandi opere in granito e ferro mediante l’antica tecnica lavorativa a secco, dedicate soprattutto alle originarie attività dell’isola.
Nel 1997, nel mese di settembre, viene inaugurata la grande scultura Sole per Galileo Galilei, in piazza Poggi sul lungarno Serristori: l’opera, in bronzo e pietra serena, è alta circa nove metri, ed è stata donata da Gio’ Pomodoro e da Franca e Tullio Berrini alla città di Firenze.
Nella primavera del 1998 le opere di Gio’ Pomodoro vengono esposte a Padova nelle sale del Palazzo del Monte di Pietà, sede centrale della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che si è fatta promotrice della prestigiosa manifestazione. La mostra documenta, attraverso le sculture e i disegni del Maestro e le fotografie di Lorenzo Cappellini, più di quarant’anni di ricerca plastica e pittorica. Per l’occasione, nella piazza del Duomo, viene esposta una sua grande opera di marmo Sole Caduto–a Galileo. Nel luglio dello stesso anno, la Regione Valle d’Aosta e il centro espositivo St. Benin, ospitano la mostra Gio’ Pomodoro: pietre e marmi 1965-1997, presentata da Antonio Del Guercio. Oltre alle sculture e alle grandi opere pittoriche esposte all’interno del Museo, la città di Aosta accoglie, in tre spazi all’aperto, altrettante opere monumentali dello scultore marchigiano.
Durante l’autunno del 1998 si inaugura a Bergamo, negli spazi della Galleria Fumagalli, con la quale inizia a collaborare attivamente, la mostra Gio’ Pomodoro– sculture e carte 1958/1998; contemporaneamente il Ministero della Cultura egiziano invita Pomodoro, quale ospite d’onore, alla VII Biennale Internazionale del Cairo, dove è allestita una sala personale con grandi opere di scultura e pittura. In novembre la Galleria Berman di Torino dedica a Gio’ la mostra Studi per grandi opere 1954-1994.
Nel 1999, all’interno dell’Arte Fiera di Bologna, alcune grandi sculture in bronzo vengono presentate in un padiglione che la Galleria Fumagalli dedica a Pomodoro, mentre durante la primavera dello stesso anno la Fondazione Veranneman ospita per la seconda volta una grande mostra di Gio’ dove, a fianco delle grandi carte e delle sculture, viene esposta anche una selezione di gioielli realizzati dallo scultore. Al termine della mostra la Fondazione Veranneman acquista per il suo parco di scultura la grande opera in marmo bianco di Carrara Sole caduto – a Galileo. Nel mese di novembre viene invitato, quale Master Artist, a tenere uno stage all’Atlantic Center for the Arts di Smyrna Beach in Florida.
Nell’aprile del 2000 Gio’ Pomodoro riceve il Premio Internazionale Guglielmo Marconi per la Scultura; a maggio il Comune di Laives e la Provincia Autonoma di Bolzano organizzano una sua mostra dal titoloSul sole e sul vuoto, curata da Pier Luigi Siena, con testo di Marisa Vescovo. Acquistano inoltre la grande opera in bronzo Scala solare – omaggio a Kepleroattualmente installata di fronte alla scuola di Laives.
Nel mese di giugno, su invito del Rettore, Professor Carlo Bo, presso l’Aula Magna del Rettorato della Libera Università di Urbino viene presentata la monografia, curata da Giovanni Maria Accame, Gio’ Pomodoro: opere disegnate 1953-2000.
Nel luglio dello stesso anno viene ospitata, nel museo di San Pietro a Colle di Val d’Elsa, Tensioni e Soli, una grande mostra di sculture e disegni.
Nel dicembre del 2000 Gio’ partecipa alla prestigiosa esposizione Novecento: Arte e Storia in Italia, curata da Maurizio Calvesi e Paul Ginsborg e realizzata dal Comune di Roma.
Nel febbraio del 2001 l’Istituto Italiano di Cultura di Colonia dedica a Gio’ Pomodoro una personale di opere pittoriche e in ottobre, in occasione del vertice G8 e all’interno dell’esposizione Artisti Italiani del XX secolo: dalla Farnesina alla Stazione Marittima, viene inaugurata la scultura monumentale Sole – agli Italiani nel mondo, donata alla città di Genova e al suo porto dalla società Grandi Navi Veloci. Questa è l’ultima opera monumentale che l’artista riesce a vedere installata.
Nell’aprile del 2002 l’International Sculpture Center conferisce a Gio’ il prestigioso premio alla carriera Lifetime Achievement Award in Contemporary Sculpture: è la prima volta che il premio viene assegnato a un artista italiano. In questa occasione, a Milano, la Galleria Giorgio Marconi dedica un omaggio a Gio’ per il conferimento del premio, allestendo una personale di sculture e grandi acquerelli. A luglio, infine, Gio’ partecipa alla quinta edizione della mostra In Chartis Mevaniae,organizzata dai comuni di Bevagna e Spoleto e curata da Giovanni Carandente.
Gio’ Pomodoro muore nel suo studio di Milano il 21 dicembre 2002.

Concetto Pozzati nasce il 1 dicembre del 1935 a Vò, in provincia di Padova. Il padre Mario Pozzati è un artista emigrato in Argentina per fare il cartellonista pubblicitario, amico di De Chirico, De Pisis, Carrà, Guidi, Licini e Morandi, che lo chiamava il “milionario” perchè aveva fatto fortuna negli anni Venti. Lo zio è Severo Pozzati, detto Sepo, attivo sia in Francia sia in Italia, uno dei più importanti cartellonisti pubblicitari della prima metà del Novecento. Nel 1942 Mario decide di trasferirsi con la famiglia ad Asiago (Concetto ha una sorella più grande, Chiara, che sposerà un altro artista, Wolfango) dove morirà nel 1947, lasciando nel figlio dodicenne un vuoto incolmabile e una nostalgia nella pittura che esploderà solo alla fine degli anni ’50, quando trasferitosi a Bologna, si diploma nel 1955 all’Istituto statale d’arte.
Concetto Pozzati si diploma all’Istituto statale d’arte e in quel periodo il clima artistico della città dominato dall’Informale, ha in Francesco Arcangeli il suo punto di riferimento: le Teste che Pozzati dipinge hanno una forte tensione drammatica e una inquietudine esistenziale, descritta così nei suoi scritti (che sono una lettura fondamentale per chi voglia accostarsi alla sua pittura): “Preferisco il volto che la ….testa. Il volto è uno spaccato verticale disegnato su segni. La somma fa apparire un volto: un volto di segni appunto. La testa, invece, è fatta di buchi, di fosse nere, di orifizi e ha bisogno di materia”
Il 1959 è un anno importante per Pozzati perchè esce dai confini cittadini e approda alla Galleria romana La Salita e a quella milanese dell’Annunciata dove conosce Carlo Carrà, vecchio amico del padre, e Lucio Fontana, che acquista un quadro tra quelli esposti. Da questo momento, fino al 1962, nelle tele cominciano a formarsi delle morfologie organiche, che esprimono la voglia di uscire dall’informale per trovare sempre una più chiara definizione dell’immagine.
Tra il 1963 e il 1965 l’artista è presente alle Biennali di Tokio, di San Paolo del Brasile, di Spoleto e di San Marino e tocca il vertice della sua popolarità partecipando a soli 28 anni alla XXXII Biennale di Venezia, chiamato da Cesare Gnudi e Maurizio Calvesi: una Biennale storica che segna l’esordio in Italia della Pop Art americana che proprio a Venezia trova la sua consacrazione. Dopo poco arriva un altro invito importante a livello internazionale, quello di partecipare alla III Documentata di Kassel, dove espone nella stessa sala di Jasper Johns. La Pop Art di Concetto Pozzati ha una sua peculiarità, che si avverte soprattutto nella definizione dello spazio e nell’impaginazione degli oggetti, che appaiono come messi in fila e che diventano icone della contemporaneità. In una intervista uscita su Bolaffiarte del 1976, alla domanda Che cosa ha rappresentato la Pop Art per la sua generazione, Pozzati rispondeva: “Mettere a fuoco il concetto di mercificazione. Abbiamo capito che qualsiasi forma artistica era un prodotto come tutti gli altri: era soltanto una merce. A differenza degli americani, per noi però, non si è mai trattato di glorificare le merci, ma semmai la consapevolezza di ridurre l’arte a merce….Capii che le immagini private non solo si scontrano con quelle pubbliche-cartellonistiche, ma che il privato e il pubblico si scambiano le parti. Ad esempio la pera (che era quella del manifesto “derby pera”) utilizzata da me diventava la Pera Pozzati. Il prodotto univa in sé tutte le contraddizioni linguistiche”.
Dal 1967 nei quadri di Pozzati compare un elemento nuovo che dialoga con la pittura: lo specchio. Ecco allora l sagome delle pere e dei pomodori fatte di specchio, restituire all’osservatore l’immagine di se stesso nell’atto di guardare e dell’ambiente circostante, come a volere sottolineare la duplicità della pittura fatta di finzione e di natura, di manualità e di intervento mentale. In una intervista con Tommaso Trini nel 1973 dirà: ” E’ vetro specchiante, ovviamente specchio, cioè vetro argentato a mano. L’ho scelto volutamente, con tutta la consapevolezza del finto consumo, del fatto che fra tre anni lo specchio sarà meno splendente, che fra dieci comincerà a fare buchi e fra quindici sarà vecchio…. Che cos’era? Era la pera che diventava regardeuse, cioè era la pera guardata che allo tempo conteneva altre immagini che la guardavano. E allo tempo però era anche un’immagine che faceva la guardia a se stessa.” Dal 1967, anno in cui Pozzati comincia ad insegnare all’Accademia di Belle Arti di Urbino, al 1972 inizia la fase più dissacratoria del suo lavoro.
Pozzati ironico, Pozzati “rapinatore”, Pozzati “guardone”, sono tutte etichette date dalla critica più attenta (Guido Ballo, Enrico Crispolti, Giuseppe Marchiori, Roberto Sanesi, Tommaso Trini, Alberto Boatto) capace di seguire il percorso dell’artista negli anni 1973-76, quelli delle “idee” e della “restaurazione” (ricordiamo che nel 1972 Pozzati espone alla XXXVI Biennale di Venezia e alla X Quadriennale di Roma e nel 1974 ha una grande antologica a Palazzo Grassi a Venezia, che diviene occasione per la critica per affermare globalmente il discorso sulla pittura). Di se stesso, sul catalogo della personale al Palazzo delle Esposizioni di Roma del 1976, il pittore dice: “La rapina, la libertà di rapina da me rivendicata (Marchiori mi definì, con spirito di avventura, il “corsaro della pittura”) non era prestito o saccheggio ma l’utilizzazione critica di un arsenale fatto e creato per servire, per essere usato. USARE È FARE”.
Dal 1977 al 1979 Pozzati inserisce nei suoi nuovi lavori elementi personali, immagini private, il tempo del ricordo: ancora una volta la dualità tipica dell’artista, tra memoria personale e memoria storica, tra storia privata e storia pubblica. Nasce il ciclo “Fuori dalla porta”, dove vecchie fotografie, schizzi, buste di lettere, cartoline, vengono inglobate in colla vinilica colorata, facendole prematuramente ingiallire.
Su “Dopo il tutto”, il titolo di un suo famoso lavoro del 1980, Pozzati scrive: “Dopo il tutto dove galleggia tutto, dove il tutto è uguale perché è stato fatto tutto, perché si può fare tutto, perché non si rincorre né si progetta il nuovo e il futuro. Un inventario della fine, un catalogo sulla non differenza dei segni e delle immagini”. Il “ritorno alle origini” degli anni ‘80 significa per Pozzati tornare ad essere prima di tutto un pittore: ne è testimonianza il grandissimo quadro per la Biennale di Venezia del 1982, fatto di cinque pannelli che ospitano un eterogeneo repertorio di citazioni storiche e artistiche, in una vertiginosa iperbole narrativa che assorbe ogni modello per possederlo con un amore ironico e disincantato. Seguono i cicli “Ellade”, un ritorno all’arte classica, al grande mito; “Pani di pietra” e “A che punto siamo con i fiori”, uno dei cicli più belli e intensi, dove la pittura materica cresce in spessori ordinati: i fiori di Pozzati sono “fiori perduti, immobili, esiliati, oltrenatura. Fiori senza umori, pentimenti, modificazioni ma solo simulazioni e pretesti per dipingere pittura” scrive l’artista.
Del 1990-1991 è il ciclo “Impossibile paesaggio”, che viene esposto per la prima volta alla grande antologica del 1991 tenuta alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, la prima che gli viene dedicata nella città in cui vive, insegna e dipinge. Gli anni ’90 si chiudono con un ciclo drammatico, un senso di impotenza e di perdita permea le “Sentinelle dal becco avvelenato”, mentre arriva il nuovo secolo e ancora di più Pozzati si sente a disagio nel mondo globalizzato, ha paura della finta socializzazione, della comunicazione veloce e sa di avere bisogno di lentezza, di un silenzioso disagio: questo ci raccontano i cicli “Il pittore burattinaio” del 2002, “Torture” del 2004, “de-posizioni” del 2006.
Il 2006 è un anno drammatico per la famiglia perché se ne va dopo una lunga malattia Roberta, la compagna di una vita, la donna che segue le economie familiari e le cose pratiche, che lo accompagna in tutte le occasioni pubbliche. E’ di questi anni “Ciao Roberta”, una indagine affettuosa sugli oggetti personali, le pantofole, i meravigliosi cappelli, gli abiti, le borse e le scarpe che galleggiano su tele grezze, sprigionando una luce e una leggerezza non ritrovabili in nessun altro lavoro. Su questo ciclo l’artista scrive: “I quadri sono morbidi, non sono luttuosi, sono luminosi perché ogni persona ha in sé un suo colore e mia moglie indossava abiti e il vestirsi, per lei, era un modo di essere: soggettivo e intenso come “seconda pelle”, come il bianco luminoso del suo portamento. Non ho chiesto niente di spettacolare e niente di sensazionale. Ho visto e ho ricordato cose di ieri con gli occhi di oggi. Le cose della propria compagna vanno dette e dipinte con pudore e col silenzio intrecciato e infetto dalla solitudine. Esiste quindi un privato ri-trovato contro un pubblico globalizzato, un privato che la pittura custodisce. I quadri silenziosi, producono, paradossalmente un eco “pieno di vuoto”, una profondità intima e nascosta per potermi riparare. Ho sempre voluto tramare, ora vorrei solo tramandare”.
Il 2007 è l’anno di nuovo ciclo dedicato agli oggetti personali “A casa mia”, un inventario di cose proprie, contenute negli armadi di casa, in cucina, nella stanza dialetto e in soggiorno, “un invito e venire a trovarmi, per scoprire il mio nascosto”, un altro momento di solitudine esistenziale che trova in questo ciclo un silenzio e una intimità espressi da una pittura sempre più attenta ai particolari e alle piccole del quotidiano. Con “Tempo sospeso”, “Cornice cieca” e “Quasi dolce” (2008, 2010 e 2011), Concetto Pozzati torna ai colori pop, agli azzurri forti, ai rosa e ai rossi fluorescenti, ai gialli canarino che emergono da sfondi color piombo: gli oggetti appaiono come sospesi: “Un tempo da natura morta s’incontra con il tempo della pittura, una pittura del con-tempo, un tempo esecutivo, un tempo del fare”.
Contro la velocità del tempo globalizzato, della comunicazione rapida e omologata nasce il ciclo “Occupato” del 2012: nei quadri solo vecchi telefoni con la cornetta come a volere sottolineare l’incomunicabilità della pittura, la sua intrasmissibilità: “Quanti telefoni e quante comunicazioni, quante parole senza filo. Quanti intrecci, quanti occupati. Vorrei “scomunicare” più che comunicare, una comunicazione che è tutta equivalente per il flusso informativo”, scrive l’artista.
“Sotto chiave” del 2014, è un ciclo che parla solo di chiavi, che per Concetto sono oggetti importanti: ne ha tante in studio, di quelle vecchie e pesanti, di ferro, per lui portano fortuna, come i ferri di cavallo: “Sono notoriamente molto superstizioso e le chiavi sono un portafortuna, se non la dialettica del chiuso-aperto-chiuso”. Sono anni in cui l’artista non sta bene, dopo aver avuto problemi di cuore si aggiungono quelli renali ed è stato più volte operato; ciononostante continua la sua attività espositiva, quella editoriale e quella culturale presso l’Accademia di San Luca a Roma (di cui è accademico dal 1995 e consigliere accademico dal 2005).
Alla fine del 2015 comincia l’ultimo ciclo, “Vulvare”, un omaggio all’origine del mondo, alla vulva-vagina: gli ultimi quadri dipinti dall’artista sono tutti con lo sfondo rosa o con la tela grezza dove immense vulve si fanno fiore o frutto, grazie ad un processo di stilizzazione che ricorda i lavori degli anni Settanta nella loro ortogonalità ed essenzialità. L’ultimo scritto di Concetto Pozzati termina così: “Lei, quella cosa, la si pratica con la pittura e la carnosità della pittura stessa si fa vulva del desiderio, perdendosi nell’abisso rosa e tiepido. Magari avvicinandosi e perdendosi a “L’origine del mondo” del 1866″.
Una vita dedicata alla pittura quella di Concetto, che ancora, pochi giorni prima di morire, parla di lavoro, progetta mostre, scrive per una nuova pubblicazione di scritti d’artista, incontra amici artisti e intellettuali: si spegne il 1 agosto del 2017, nella sua camera da letto a Bologna, attorniato dall’affetto dei figli Maura e Jacopo e dai quadri del padre Mario alle pareti.
Concetto Pozzati nasce il 1 dicembre del 1935 a Vò, in provincia di Padova. Il padre Mario Pozzati è un artista emigrato in Argentina per fare il cartellonista pubblicitario, amico di De Chirico, De Pisis, Carrà, Guidi, Licini e Morandi, che lo chiamava il “milionario” perchè aveva fatto fortuna negli anni Venti. Lo zio è Severo Pozzati, detto Sepo, attivo sia in Francia sia in Italia, uno dei più importanti cartellonisti pubblicitari della prima metà del Novecento. Nel 1942 Mario decide di trasferirsi con la famiglia ad Asiago (Concetto ha una sorella più grande, Chiara, che sposerà un altro artista, Wolfango) dove morirà nel 1947, lasciando nel figlio dodicenne un vuoto incolmabile e una nostalgia nella pittura che esploderà solo alla fine degli anni ’50, quando trasferitosi a Bologna, si diploma nel 1955 all’Istituto statale d’arte.
Concetto Pozzati si diploma all’Istituto statale d’arte e in quel periodo il clima artistico della città dominato dall’Informale, ha in Francesco Arcangeli il suo punto di riferimento: le Teste che Pozzati dipinge hanno una forte tensione drammatica e una inquietudine esistenziale, descritta così nei suoi scritti (che sono una lettura fondamentale per chi voglia accostarsi alla sua pittura): “Preferisco il volto che la ….testa. Il volto è uno spaccato verticale disegnato su segni. La somma fa apparire un volto: un volto di segni appunto. La testa, invece, è fatta di buchi, di fosse nere, di orifizi e ha bisogno di materia”
Il 1959 è un anno importante per Pozzati perchè esce dai confini cittadini e approda alla Galleria romana La Salita e a quella milanese dell’Annunciata dove conosce Carlo Carrà, vecchio amico del padre, e Lucio Fontana, che acquista un quadro tra quelli esposti. Da questo momento, fino al 1962, nelle tele cominciano a formarsi delle morfologie organiche, che esprimono la voglia di uscire dall’informale per trovare sempre una più chiara definizione dell’immagine.
Tra il 1963 e il 1965 l’artista è presente alle Biennali di Tokio, di San Paolo del Brasile, di Spoleto e di San Marino e tocca il vertice della sua popolarità partecipando a soli 28 anni alla XXXII Biennale di Venezia, chiamato da Cesare Gnudi e Maurizio Calvesi: una Biennale storica che segna l’esordio in Italia della Pop Art americana che proprio a Venezia trova la sua consacrazione. Dopo poco arriva un altro invito importante a livello internazionale, quello di partecipare alla III Documentata di Kassel, dove espone nella stessa sala di Jasper Johns. La Pop Art di Concetto Pozzati ha una sua peculiarità, che si avverte soprattutto nella definizione dello spazio e nell’impaginazione degli oggetti, che appaiono come messi in fila e che diventano icone della contemporaneità. In una intervista uscita su Bolaffiarte del 1976, alla domanda Che cosa ha rappresentato la Pop Art per la sua generazione, Pozzati rispondeva: “Mettere a fuoco il concetto di mercificazione. Abbiamo capito che qualsiasi forma artistica era un prodotto come tutti gli altri: era soltanto una merce. A differenza degli americani, per noi però, non si è mai trattato di glorificare le merci, ma semmai la consapevolezza di ridurre l’arte a merce….Capii che le immagini private non solo si scontrano con quelle pubbliche-cartellonistiche, ma che il privato e il pubblico si scambiano le parti. Ad esempio la pera (che era quella del manifesto “derby pera”) utilizzata da me diventava la Pera Pozzati. Il prodotto univa in sé tutte le contraddizioni linguistiche”.
Dal 1967 nei quadri di Pozzati compare un elemento nuovo che dialoga con la pittura: lo specchio. Ecco allora l sagome delle pere e dei pomodori fatte di specchio, restituire all’osservatore l’immagine di se stesso nell’atto di guardare e dell’ambiente circostante, come a volere sottolineare la duplicità della pittura fatta di finzione e di natura, di manualità e di intervento mentale. In una intervista con Tommaso Trini nel 1973 dirà: ” E’ vetro specchiante, ovviamente specchio, cioè vetro argentato a mano. L’ho scelto volutamente, con tutta la consapevolezza del finto consumo, del fatto che fra tre anni lo specchio sarà meno splendente, che fra dieci comincerà a fare buchi e fra quindici sarà vecchio…. Che cos’era? Era la pera che diventava regardeuse, cioè era la pera guardata che allo tempo conteneva altre immagini che la guardavano. E allo tempo però era anche un’immagine che faceva la guardia a se stessa.” Dal 1967, anno in cui Pozzati comincia ad insegnare all’Accademia di Belle Arti di Urbino, al 1972 inizia la fase più dissacratoria del suo lavoro.
Pozzati ironico, Pozzati “rapinatore”, Pozzati “guardone”, sono tutte etichette date dalla critica più attenta (Guido Ballo, Enrico Crispolti, Giuseppe Marchiori, Roberto Sanesi, Tommaso Trini, Alberto Boatto) capace di seguire il percorso dell’artista negli anni 1973-76, quelli delle “idee” e della “restaurazione” (ricordiamo che nel 1972 Pozzati espone alla XXXVI Biennale di Venezia e alla X Quadriennale di Roma e nel 1974 ha una grande antologica a Palazzo Grassi a Venezia, che diviene occasione per la critica per affermare globalmente il discorso sulla pittura). Di se stesso, sul catalogo della personale al Palazzo delle Esposizioni di Roma del 1976, il pittore dice: “La rapina, la libertà di rapina da me rivendicata (Marchiori mi definì, con spirito di avventura, il “corsaro della pittura”) non era prestito o saccheggio ma l’utilizzazione critica di un arsenale fatto e creato per servire, per essere usato. USARE È FARE”.
Dal 1977 al 1979 Pozzati inserisce nei suoi nuovi lavori elementi personali, immagini private, il tempo del ricordo: ancora una volta la dualità tipica dell’artista, tra memoria personale e memoria storica, tra storia privata e storia pubblica. Nasce il ciclo “Fuori dalla porta”, dove vecchie fotografie, schizzi, buste di lettere, cartoline, vengono inglobate in colla vinilica colorata, facendole prematuramente ingiallire.
Su “Dopo il tutto”, il titolo di un suo famoso lavoro del 1980, Pozzati scrive: “Dopo il tutto dove galleggia tutto, dove il tutto è uguale perché è stato fatto tutto, perché si può fare tutto, perché non si rincorre né si progetta il nuovo e il futuro. Un inventario della fine, un catalogo sulla non differenza dei segni e delle immagini”. Il “ritorno alle origini” degli anni ‘80 significa per Pozzati tornare ad essere prima di tutto un pittore: ne è testimonianza il grandissimo quadro per la Biennale di Venezia del 1982, fatto di cinque pannelli che ospitano un eterogeneo repertorio di citazioni storiche e artistiche, in una vertiginosa iperbole narrativa che assorbe ogni modello per possederlo con un amore ironico e disincantato. Seguono i cicli “Ellade”, un ritorno all’arte classica, al grande mito; “Pani di pietra” e “A che punto siamo con i fiori”, uno dei cicli più belli e intensi, dove la pittura materica cresce in spessori ordinati: i fiori di Pozzati sono “fiori perduti, immobili, esiliati, oltrenatura. Fiori senza umori, pentimenti, modificazioni ma solo simulazioni e pretesti per dipingere pittura” scrive l’artista.
Del 1990-1991 è il ciclo “Impossibile paesaggio”, che viene esposto per la prima volta alla grande antologica del 1991 tenuta alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, la prima che gli viene dedicata nella città in cui vive, insegna e dipinge. Gli anni ’90 si chiudono con un ciclo drammatico, un senso di impotenza e di perdita permea le “Sentinelle dal becco avvelenato”, mentre arriva il nuovo secolo e ancora di più Pozzati si sente a disagio nel mondo globalizzato, ha paura della finta socializzazione, della comunicazione veloce e sa di avere bisogno di lentezza, di un silenzioso disagio: questo ci raccontano i cicli “Il pittore burattinaio” del 2002, “Torture” del 2004, “de-posizioni” del 2006.
Il 2006 è un anno drammatico per la famiglia perché se ne va dopo una lunga malattia Roberta, la compagna di una vita, la donna che segue le economie familiari e le cose pratiche, che lo accompagna in tutte le occasioni pubbliche. E’ di questi anni “Ciao Roberta”, una indagine affettuosa sugli oggetti personali, le pantofole, i meravigliosi cappelli, gli abiti, le borse e le scarpe che galleggiano su tele grezze, sprigionando una luce e una leggerezza non ritrovabili in nessun altro lavoro. Su questo ciclo l’artista scrive: “I quadri sono morbidi, non sono luttuosi, sono luminosi perché ogni persona ha in sé un suo colore e mia moglie indossava abiti e il vestirsi, per lei, era un modo di essere: soggettivo e intenso come “seconda pelle”, come il bianco luminoso del suo portamento. Non ho chiesto niente di spettacolare e niente di sensazionale. Ho visto e ho ricordato cose di ieri con gli occhi di oggi. Le cose della propria compagna vanno dette e dipinte con pudore e col silenzio intrecciato e infetto dalla solitudine. Esiste quindi un privato ri-trovato contro un pubblico globalizzato, un privato che la pittura custodisce. I quadri silenziosi, producono, paradossalmente un eco “pieno di vuoto”, una profondità intima e nascosta per potermi riparare. Ho sempre voluto tramare, ora vorrei solo tramandare”.
Il 2007 è l’anno di nuovo ciclo dedicato agli oggetti personali “A casa mia”, un inventario di cose proprie, contenute negli armadi di casa, in cucina, nella stanza dialetto e in soggiorno, “un invito e venire a trovarmi, per scoprire il mio nascosto”, un altro momento di solitudine esistenziale che trova in questo ciclo un silenzio e una intimità espressi da una pittura sempre più attenta ai particolari e alle piccole del quotidiano. Con “Tempo sospeso”, “Cornice cieca” e “Quasi dolce” (2008, 2010 e 2011), Concetto Pozzati torna ai colori pop, agli azzurri forti, ai rosa e ai rossi fluorescenti, ai gialli canarino che emergono da sfondi color piombo: gli oggetti appaiono come sospesi: “Un tempo da natura morta s’incontra con il tempo della pittura, una pittura del con-tempo, un tempo esecutivo, un tempo del fare”.
Contro la velocità del tempo globalizzato, della comunicazione rapida e omologata nasce il ciclo “Occupato” del 2012: nei quadri solo vecchi telefoni con la cornetta come a volere sottolineare l’incomunicabilità della pittura, la sua intrasmissibilità: “Quanti telefoni e quante comunicazioni, quante parole senza filo. Quanti intrecci, quanti occupati. Vorrei “scomunicare” più che comunicare, una comunicazione che è tutta equivalente per il flusso informativo”, scrive l’artista.
“Sotto chiave” del 2014, è un ciclo che parla solo di chiavi, che per Concetto sono oggetti importanti: ne ha tante in studio, di quelle vecchie e pesanti, di ferro, per lui portano fortuna, come i ferri di cavallo: “Sono notoriamente molto superstizioso e le chiavi sono un portafortuna, se non la dialettica del chiuso-aperto-chiuso”. Sono anni in cui l’artista non sta bene, dopo aver avuto problemi di cuore si aggiungono quelli renali ed è stato più volte operato; ciononostante continua la sua attività espositiva, quella editoriale e quella culturale presso l’Accademia di San Luca a Roma (di cui è accademico dal 1995 e consigliere accademico dal 2005).
Alla fine del 2015 comincia l’ultimo ciclo, “Vulvare”, un omaggio all’origine del mondo, alla vulva-vagina: gli ultimi quadri dipinti dall’artista sono tutti con lo sfondo rosa o con la tela grezza dove immense vulve si fanno fiore o frutto, grazie ad un processo di stilizzazione che ricorda i lavori degli anni Settanta nella loro ortogonalità ed essenzialità. L’ultimo scritto di Concetto Pozzati termina così: “Lei, quella cosa, la si pratica con la pittura e la carnosità della pittura stessa si fa vulva del desiderio, perdendosi nell’abisso rosa e tiepido. Magari avvicinandosi e perdendosi a “L’origine del mondo” del 1866″.
Una vita dedicata alla pittura quella di Concetto, che ancora, pochi giorni prima di morire, parla di lavoro, progetta mostre, scrive per una nuova pubblicazione di scritti d’artista, incontra amici artisti e intellettuali: si spegne il 1 agosto del 2017, nella sua camera da letto a Bologna, attorniato dall’affetto dei figli Maura e Jacopo e dai quadri del padre Mario alle pareti.



- Andy Warhol

- Giulio Turcato

- Erik Schmidt




