ZONAMACO

Stand #E106
La galleria Eduardo Secci ha il piacere di annunciare la sua partecipazione a ZONA MACO 2020, con opere di Kevin Francis Gray, Michael Staniak, Gerold Miller, Tim Plamper, Terry Haggerty, Levi Van Veluw, Andrea Galvani e Jon Kessler.
Stand #E106
La galleria Eduardo Secci ha il piacere di annunciare la sua partecipazione a ZONA MACO 2020, con opere di Kevin Francis Gray, Michael Staniak, Gerold Miller, Tim Plamper, Terry Haggerty, Levi Van Veluw, Andrea Galvani e Jon Kessler.
- InquireScopri il lavoro diLevi van VeluwLevi van VeluwLVV007-imagePolymer clay, pigment, metal frame
101 x 62 cm
39 3/4 x 24 3/8 in
Edition 4 of 5 (each of which unique)
- 0G7A6488
- Levi van Veluw, LVV007-imagePolymer clay, pigment, metal frame
101 x 62 cm
39 3/4 x 24 3/8 in
Edition 4 of 5 (each of which unique) - Kevin Francis Gray, KFG091-image
- Andrea Galvani, Schermata 2022-12-14 alle 12.37.15
Levi van Veluw, nato nel 1985 a Hoevelaken (Paesi Bassi), vive e lavora ad Amsterdam. Dopo gli studi all’ArtEZ University of the Arts ad Arnhem (2007) concepisce lavori multidisciplinari, che includono installazioni scenografiche, fotografie, video, sculture e disegni. Van Veluw basa la sua pratica sull’idea di una realtà alternativa, creando un laboratorio visivo in cui sono presenti sia l’ordine che il caos. L’artista indaga la relatività della materia e attinge a teorie scientifiche e fisiche per affrontare dilemmi esistenziali. Le sue installazioni misteriose e sensoriali incoraggiano l’osservatore a riflettere sullo sviluppo di una nuova conoscenza, derivante dal desiderio di un universo regolato, pur riconoscendo l’impossibilità razionale del controllo totale.
Tra le sue mostre personali più recenti ricordiamo: Videocittà, Roma (2021); Eduardo Secci, Firenze (2020); Rijksmuseum Twenthe, Enschede, Paesi Bassi (2020); Praz-Delavallade, Parigi (2020); Het HEM, Zaandam, Paesi Bassi (2020); Tenuta Dello Scompiglio, Lucca (2019); Domaine de Kerguéhennec, Bignan, Francia (2018); La Galerie Particulière, Parigi (2017); Galerie Ron Mandos, Amsterdam (2019); Rosenfeld Porcini Gallery, Londra (2016). Tra le numerose mostre collettive: Museum Kranenburgh, Bergen, Paesi Bassi (2017); labellisée Normandie Impressonniste 2016, Jumièges, Francia; Museum de Fundatie, Zwolle, Paesi Bassi (2016); Maddox Arts, Londra (2015).
Van Veluw ha inoltre preso parte a importanti fiere internazionali come Zona Maco (2018); The Armory Show, New York (2017); Art Brussels (2016); Chicago Art Fair (2016); Volta Basel (2012) e the Barcelona Loop Fair Barcelona (2014).
Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, come BoLe sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, come Borusan Contemporary Collection, Caldic Collection, Ekard Collection e KPMG Art Collection.
Levi van Veluw, nato nel 1985 a Hoevelaken (Paesi Bassi), vive e lavora ad Amsterdam. Dopo gli studi all’ArtEZ University of the Arts ad Arnhem (2007) concepisce lavori multidisciplinari, che includono installazioni scenografiche, fotografie, video, sculture e disegni. Van Veluw basa la sua pratica sull’idea di una realtà alternativa, creando un laboratorio visivo in cui sono presenti sia l’ordine che il caos. L’artista indaga la relatività della materia e attinge a teorie scientifiche e fisiche per affrontare dilemmi esistenziali. Le sue installazioni misteriose e sensoriali incoraggiano l’osservatore a riflettere sullo sviluppo di una nuova conoscenza, derivante dal desiderio di un universo regolato, pur riconoscendo l’impossibilità razionale del controllo totale.
Tra le sue mostre personali più recenti ricordiamo: Videocittà, Roma (2021); Eduardo Secci, Firenze (2020); Rijksmuseum Twenthe, Enschede, Paesi Bassi (2020); Praz-Delavallade, Parigi (2020); Het HEM, Zaandam, Paesi Bassi (2020); Tenuta Dello Scompiglio, Lucca (2019); Domaine de Kerguéhennec, Bignan, Francia (2018); La Galerie Particulière, Parigi (2017); Galerie Ron Mandos, Amsterdam (2019); Rosenfeld Porcini Gallery, Londra (2016). Tra le numerose mostre collettive: Museum Kranenburgh, Bergen, Paesi Bassi (2017); labellisée Normandie Impressonniste 2016, Jumièges, Francia; Museum de Fundatie, Zwolle, Paesi Bassi (2016); Maddox Arts, Londra (2015).
Van Veluw ha inoltre preso parte a importanti fiere internazionali come Zona Maco (2018); The Armory Show, New York (2017); Art Brussels (2016); Chicago Art Fair (2016); Volta Basel (2012) e the Barcelona Loop Fair Barcelona (2014).
Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, come BoLe sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, come Borusan Contemporary Collection, Caldic Collection, Ekard Collection e KPMG Art Collection.

Gerold Miller, nato nel 1961 a Altshausen (Germania), vive e lavora a Berlino.
Miller ha studiato dal 1984 al 1989 scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Stoccarda con Jürgen Brodwolf. Dal 1989 al 1992 ha ricevuto una borsa di studio dallo stato del Baden-Württemberg, negli anni successivi ha ricevuto altre borse di studio tra Parigi, Poznań e Sydney.
Le sue opere sono esposte e apprezzate in musei di tutto il mondo. Ha avuto mostre personali, tra gli altri, alla Walter Storms Galerie, Monaco (2018) Galerie Mehdi Chouakri, Berlino (2017); Galería Casado Santapau, Madrid (2016); Galerie Nikolaus Ruzicska, Salisburgo (2015); Mies van der Rohe Haus di Berlino (2014); al Museum gegenstandsfreier Kunst, a Otterndorf, in Germania (2010); alla CAN, a Neuchâtel, in Svizzera (2006); alla Kunsthalle Vierseithof, Luckenwalde, Germania (2003), la sua installazione all’aperto è stata presentata presso la sede di Daimler Maybach a Stoccarda, in Germania (2003); Miller è stato oggetto di una grande mostra personale alla Nationalgalerie im Hamburger Bahnhof, Museum für Gegenwart, Berlino, Germania (2002); al Städtisches Kunstmuseum, Singen, Germania (2001); al CCNOA – Centre for Contemporary Non-Objective Art, Bruxelles, Belgio (2001); presso l’Artspace, Visual Arts Centre, a Sydney, in Australia (1999); al Städtische Galerie Altes Theater, a Ravensburg, in Germania (1997); alla Städtische Galerie im Kornhaus, Kirchheim / Teck, Germania (1993). Recentemente ha anche partecipato a numerose mostre collettive in molti musei internazionali, tra cui ricordiamo: il Kunstmuseum Singen, Singen, Germania (2018); Aldo Chaparro Studio, Città del Messico (2018); il Kunstmuseum Bremerhaven, Germania (2017), il MASILugano Museo d’arte della Svizzera italiana, Lugano, Svizzera (2017); Museum Ritter, Waldenbuch, Germania (2017); Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, Danimarca (2016); il Städtisches Kunstmuseum, Singen, Germania (2014).
Il lavoro di Gerold Miller è rappresentato in collezioni in tutto il mondo, tra cui citiamo: Louisiana Museum of Modern Art, Humlebaek; Kunstmuseum Stuttgart, Stoccarda; NOMA New Orleans Museum of Art, New Orleans; Société Générale, Parigi; Bundesministerium für Kunst, Vienna / Wien; Mallorca Art Foundation, Maiorca; Fondazione Rozenblum, Buenos Aires.
Gerold Miller, nato nel 1961 a Altshausen (Germania), vive e lavora a Berlino.
Miller ha studiato dal 1984 al 1989 scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Stoccarda con Jürgen Brodwolf. Dal 1989 al 1992 ha ricevuto una borsa di studio dallo stato del Baden-Württemberg, negli anni successivi ha ricevuto altre borse di studio tra Parigi, Poznań e Sydney.
Le sue opere sono esposte e apprezzate in musei di tutto il mondo. Ha avuto mostre personali, tra gli altri, alla Walter Storms Galerie, Monaco (2018) Galerie Mehdi Chouakri, Berlino (2017); Galería Casado Santapau, Madrid (2016); Galerie Nikolaus Ruzicska, Salisburgo (2015); Mies van der Rohe Haus di Berlino (2014); al Museum gegenstandsfreier Kunst, a Otterndorf, in Germania (2010); alla CAN, a Neuchâtel, in Svizzera (2006); alla Kunsthalle Vierseithof, Luckenwalde, Germania (2003), la sua installazione all’aperto è stata presentata presso la sede di Daimler Maybach a Stoccarda, in Germania (2003); Miller è stato oggetto di una grande mostra personale alla Nationalgalerie im Hamburger Bahnhof, Museum für Gegenwart, Berlino, Germania (2002); al Städtisches Kunstmuseum, Singen, Germania (2001); al CCNOA – Centre for Contemporary Non-Objective Art, Bruxelles, Belgio (2001); presso l’Artspace, Visual Arts Centre, a Sydney, in Australia (1999); al Städtische Galerie Altes Theater, a Ravensburg, in Germania (1997); alla Städtische Galerie im Kornhaus, Kirchheim / Teck, Germania (1993). Recentemente ha anche partecipato a numerose mostre collettive in molti musei internazionali, tra cui ricordiamo: il Kunstmuseum Singen, Singen, Germania (2018); Aldo Chaparro Studio, Città del Messico (2018); il Kunstmuseum Bremerhaven, Germania (2017), il MASILugano Museo d’arte della Svizzera italiana, Lugano, Svizzera (2017); Museum Ritter, Waldenbuch, Germania (2017); Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk, Danimarca (2016); il Städtisches Kunstmuseum, Singen, Germania (2014).
Il lavoro di Gerold Miller è rappresentato in collezioni in tutto il mondo, tra cui citiamo: Louisiana Museum of Modern Art, Humlebaek; Kunstmuseum Stuttgart, Stoccarda; NOMA New Orleans Museum of Art, New Orleans; Société Générale, Parigi; Bundesministerium für Kunst, Vienna / Wien; Mallorca Art Foundation, Maiorca; Fondazione Rozenblum, Buenos Aires.
Jon Kessler ha iniziato a esporre nei primi anni ’80 delle opere dalla forma di scatole d’ombra attaccate al muro. Oggetti trovati e fabbricati, illuminati e meccanizzati, che creavano scenari, sia astratti che figurativi. L’artista lasciava volutamente i lati aperti per esporre i meccanismi: un semplice spostamento della posizione dello spettatore rivelava il funzionamento interno “dietro le quinte”. Le sculture degli anni ’90 sono diventate più grandi con valori di produzione più alti. Dopo l’11 settembre, l’artista sostiene di essere ossessionato dall’immagine di ciò che i terroristi hanno visto dall’abitacolo prima dell’impatto, quindi ha deciso di ricrearlo usando una telecamera di sorveglianza. Da allora, il suo lavoro è diventato più politico. Tuttavia, la crudezza e l’immediatezza del lavoro attuale incorpora una giocosità che ricorda le sculture realizzate negli anni ’80. I meccanismi sono visibili con poco o nessun tentativo di “finire” i pezzi: una volta che le sculture funzionano, le lascia in forma di prototipo con i morsetti e il nastro necessari per tenerli assemblati.
Dal 2004, ha creato installazioni video di dimensioni reali che occupano lo spazio. Queste installazioni implicano gli spettatori, trasformandoli in oggetti da ricognizione e oggetti sorvegliati: questo crea una relazione simbiotica tra la telecamera e lo spettatore, che continua al suo interno come spettatore e performer, voyeur ed esibizionista.
Il suo interesse per ciò che accade tra lo spettatore e l’oggetto artistico è rimasto coerente. Il lavoro di Kessler continua a giocare coscientemente in quell’arena, controllando l’esperienza dello spettatore del pezzo, mentre offre anche uno scorcio del meccanismo di quella manipolazione.
Jon Kessler è un artista noto per le sculture cinetiche che espongono la loro parte meccanica allo spettatore; opere che uniscono spesso tecnologia analogica e digitale e che hanno implicazioni politiche. Ha ricevuto un B.F.A. dallo State University di New York nel 1980 e nello stesso anno ha completato The Independent Study Studio Program al Whitney Museum of American Art. Kessler è stato professore alla Columbia University School of the Arts dal 1994. Più recentemente, si è concentrato sullo sviluppo di pezzi di installazione immersivi.
Le recenti mostre personali includono: Century Pictures, New York (2017); Jon Kessler’s Gifts, Salon 94, Freemans Alley, New York (2015); The Web, Swiss Institute, New York (2013); Ethan Cohen Belle Arti, Beacon, New York (2012). Kessler ha partecipato a numerose mostre collettive tra cui all’ ICA di Boston (2018); Palais de Tokyo, Parigi (2018); Whitney Museum of American Art, New York (2017); Carnegie Museum of Art, Pittsburgh (2017); Wellin Museum of Art, Hamilton (2016); Gerald Peters Gallery, New York (2016); MOSTYN, Galles (2015); Red Bull Studios, New York (2014); Museo Tinguely, Basilea, Svizzera (2013); MACRO, Roma (2011); Park Avenue Armory, New York (2008); Whitney Museum of Art, New York (2005); Ethan Cohen Fine Arts, New York (2004); Bronx Museum, New York (2003); CRP Gallery, Brooklyn (2000); Galleri K, Oslo (1999). Il lavoro di Kessler è ora nelle collezioni permanenti del Museum of Modern Art, del Whitney Museum of American Art, del Walker Art Center e del Museum of Contemporary Art di Los Angeles.
Jon Kessler ha iniziato a esporre nei primi anni ’80 delle opere dalla forma di scatole d’ombra attaccate al muro. Oggetti trovati e fabbricati, illuminati e meccanizzati, che creavano scenari, sia astratti che figurativi. L’artista lasciava volutamente i lati aperti per esporre i meccanismi: un semplice spostamento della posizione dello spettatore rivelava il funzionamento interno “dietro le quinte”. Le sculture degli anni ’90 sono diventate più grandi con valori di produzione più alti. Dopo l’11 settembre, l’artista sostiene di essere ossessionato dall’immagine di ciò che i terroristi hanno visto dall’abitacolo prima dell’impatto, quindi ha deciso di ricrearlo usando una telecamera di sorveglianza. Da allora, il suo lavoro è diventato più politico. Tuttavia, la crudezza e l’immediatezza del lavoro attuale incorpora una giocosità che ricorda le sculture realizzate negli anni ’80. I meccanismi sono visibili con poco o nessun tentativo di “finire” i pezzi: una volta che le sculture funzionano, le lascia in forma di prototipo con i morsetti e il nastro necessari per tenerli assemblati.
Dal 2004, ha creato installazioni video di dimensioni reali che occupano lo spazio. Queste installazioni implicano gli spettatori, trasformandoli in oggetti da ricognizione e oggetti sorvegliati: questo crea una relazione simbiotica tra la telecamera e lo spettatore, che continua al suo interno come spettatore e performer, voyeur ed esibizionista.
Il suo interesse per ciò che accade tra lo spettatore e l’oggetto artistico è rimasto coerente. Il lavoro di Kessler continua a giocare coscientemente in quell’arena, controllando l’esperienza dello spettatore del pezzo, mentre offre anche uno scorcio del meccanismo di quella manipolazione.
Jon Kessler è un artista noto per le sculture cinetiche che espongono la loro parte meccanica allo spettatore; opere che uniscono spesso tecnologia analogica e digitale e che hanno implicazioni politiche. Ha ricevuto un B.F.A. dallo State University di New York nel 1980 e nello stesso anno ha completato The Independent Study Studio Program al Whitney Museum of American Art. Kessler è stato professore alla Columbia University School of the Arts dal 1994. Più recentemente, si è concentrato sullo sviluppo di pezzi di installazione immersivi.
Le recenti mostre personali includono: Century Pictures, New York (2017); Jon Kessler’s Gifts, Salon 94, Freemans Alley, New York (2015); The Web, Swiss Institute, New York (2013); Ethan Cohen Belle Arti, Beacon, New York (2012). Kessler ha partecipato a numerose mostre collettive tra cui all’ ICA di Boston (2018); Palais de Tokyo, Parigi (2018); Whitney Museum of American Art, New York (2017); Carnegie Museum of Art, Pittsburgh (2017); Wellin Museum of Art, Hamilton (2016); Gerald Peters Gallery, New York (2016); MOSTYN, Galles (2015); Red Bull Studios, New York (2014); Museo Tinguely, Basilea, Svizzera (2013); MACRO, Roma (2011); Park Avenue Armory, New York (2008); Whitney Museum of Art, New York (2005); Ethan Cohen Fine Arts, New York (2004); Bronx Museum, New York (2003); CRP Gallery, Brooklyn (2000); Galleri K, Oslo (1999). Il lavoro di Kessler è ora nelle collezioni permanenti del Museum of Modern Art, del Whitney Museum of American Art, del Walker Art Center e del Museum of Contemporary Art di Los Angeles.

Terry Haggerty traduce forme naturali, oggetti artificiali e profili sfuggenti in accattivanti composizioni lineari che oscillano tra lo spazio piatto e quello dimensionale, usando semplici combinazioni bicolori e anche arrangiamenti multilineari dipinti su pannelli sagomati in legno e metalli pre-fabbricati. Sfruttando un semplice motivo curvilineo, Haggerty allunga il piano dell’immagine oltre il percepibile, con righe parallele che corrono e si piegano dalla vista per definire sia lo spazio visibile sia quello invisibile. All’interno dei confini di una sagoma contornata si trovano molteplici angoli di una forma, apparentemente contraddittori, visti da una singola prospettiva. L’attenzione della percezione si sposta gradualmente verso le qualità visuali dell’oggetto dipinto. Lo spettatore è attratto dall’aspetto piatto e dalla finitura della superficie, tecnicamente consumata, che fornisce l’apparenza di una perfezione quasi meccanica. Non c’è accumulo di pittura su pittura; siamo lasciati con una superficie non riflettente che non lascia alcuna traccia della sua creazione, preservata e racchiusa in un guscio patinato.
Terry Haggerty, nato a Londra, UK, ha studiato alla Cheltenham School of Art, in Gloucestershire. Le sue opere sono state esibite presso numerose gallerie e musei in tutto il mondo, tra cui ricordiamo le mostre personali presso il Norton Museum of Art, West Palm Beach, Florida; il Modern Art Museum, Fort Worth; e l’Hammer Museum, Los Angeles. Ha inoltre ricevuto numerosi premi, tra cui il FOR-SITE Foundation Award (2009), il John Anson Kittredge Award (2003) e il NatWest Art Prize (1999). Tra i lavori realizzati su commissione, ricordiamo i murales per l’AT&T Stadium di Dallas, Munich Re a Londra, Roche Diagnostics a Indianapolis e altre opere per collezioni internazionali aziendali e private.
Terry Haggerty traduce forme naturali, oggetti artificiali e profili sfuggenti in accattivanti composizioni lineari che oscillano tra lo spazio piatto e quello dimensionale, usando semplici combinazioni bicolori e anche arrangiamenti multilineari dipinti su pannelli sagomati in legno e metalli pre-fabbricati. Sfruttando un semplice motivo curvilineo, Haggerty allunga il piano dell’immagine oltre il percepibile, con righe parallele che corrono e si piegano dalla vista per definire sia lo spazio visibile sia quello invisibile. All’interno dei confini di una sagoma contornata si trovano molteplici angoli di una forma, apparentemente contraddittori, visti da una singola prospettiva. L’attenzione della percezione si sposta gradualmente verso le qualità visuali dell’oggetto dipinto. Lo spettatore è attratto dall’aspetto piatto e dalla finitura della superficie, tecnicamente consumata, che fornisce l’apparenza di una perfezione quasi meccanica. Non c’è accumulo di pittura su pittura; siamo lasciati con una superficie non riflettente che non lascia alcuna traccia della sua creazione, preservata e racchiusa in un guscio patinato.
Terry Haggerty, nato a Londra, UK, ha studiato alla Cheltenham School of Art, in Gloucestershire. Le sue opere sono state esibite presso numerose gallerie e musei in tutto il mondo, tra cui ricordiamo le mostre personali presso il Norton Museum of Art, West Palm Beach, Florida; il Modern Art Museum, Fort Worth; e l’Hammer Museum, Los Angeles. Ha inoltre ricevuto numerosi premi, tra cui il FOR-SITE Foundation Award (2009), il John Anson Kittredge Award (2003) e il NatWest Art Prize (1999). Tra i lavori realizzati su commissione, ricordiamo i murales per l’AT&T Stadium di Dallas, Munich Re a Londra, Roche Diagnostics a Indianapolis e altre opere per collezioni internazionali aziendali e private.
Tim Plamper, nato nel 1982 a Bergisch Gladbach, Germania, vive e lavora a Berlino. Ha studiato Belle Arti alla Stuggart State Academy of Art and Design insieme ad Alexander Roob e poi, dal 2003 al 2009, presso la University of East London con John Smith.
Il disegno rappresenta il focus artistico e la base concettuale per Plamper. Basandosi su disegni perlopiù figurativi, negli ultimi anni si è avvicinato sempre più a una forma d’arte più aperta e ampia; il disegno, quindi, non solo come forma di espressione e di rappresentazione, ma anche, e in maniera sempre più esaustiva, come un metodo per materializzare in maniera diretta sentimento e pensiero. Per l’artista è fondamentale che l’intrinseco modo di pensare le sculture con i mezzi del disegno determini strutturalmente anche i lavori prodotti al contempo. Nella sua pratica artistica, si è interessato molto ad aree di confine e a zone di sovrapposizione tra i diversi campi mediatici e le loro contaminazioni reciproche. L’artista vede il disegno come una competenza chiave di raccordo, ovvero lo strumento per agire più vicino alla realtà del mondo e contribuire in maniera efficace e diretta al materiale. Il disegno, quindi, non è da intendersi come un mero risultato di un processo mentale qualsiasi, ma come un qualcosa che racchiude il potenziale per essere essa stessa una forma di cognizione e, allo stesso tempo, la sua immagine. Nella sua pratica artistica, il suo corpo gioca sempre un ruolo importante; e questo non solo perché il disegno, come pratica, è principalmente basato sull’azione motoria soggettiva dell’artista, ma anche perché le trame del suo lavoro sono largamente ispirate a un mondo pittorico interno, dotato di una carica erotica in cui il ricordo, il desiderio e l’arcano confluiscono l’uno nell’altro.
Le sue opere sono state esibite sia in Germania sia all’estero. Tra le sue mostre più recenti, ricordiamo: Exit II (Prolog)(2019), Megamelange, Colonia; Reflection is a Wall(2019), Unttld Contepmorary, Vienna; Not dark yet(2018), Kunsthaus Muerz, Muerzzuschlag, Austria; Zone(2017), Suzanne Tarasieve, Parigi; L’œil du collectionneur(2016), Museum of Modern & Contemporary Art, Strasburgo; Atlas(2016), Unttld Contemporary, Vienna; Hausbesetzung(2014), Nassauischer Kunstverein, Wiesbaden.
Tim Plamper, nato nel 1982 a Bergisch Gladbach, Germania, vive e lavora a Berlino. Ha studiato Belle Arti alla Stuggart State Academy of Art and Design insieme ad Alexander Roob e poi, dal 2003 al 2009, presso la University of East London con John Smith.
Il disegno rappresenta il focus artistico e la base concettuale per Plamper. Basandosi su disegni perlopiù figurativi, negli ultimi anni si è avvicinato sempre più a una forma d’arte più aperta e ampia; il disegno, quindi, non solo come forma di espressione e di rappresentazione, ma anche, e in maniera sempre più esaustiva, come un metodo per materializzare in maniera diretta sentimento e pensiero. Per l’artista è fondamentale che l’intrinseco modo di pensare le sculture con i mezzi del disegno determini strutturalmente anche i lavori prodotti al contempo. Nella sua pratica artistica, si è interessato molto ad aree di confine e a zone di sovrapposizione tra i diversi campi mediatici e le loro contaminazioni reciproche. L’artista vede il disegno come una competenza chiave di raccordo, ovvero lo strumento per agire più vicino alla realtà del mondo e contribuire in maniera efficace e diretta al materiale. Il disegno, quindi, non è da intendersi come un mero risultato di un processo mentale qualsiasi, ma come un qualcosa che racchiude il potenziale per essere essa stessa una forma di cognizione e, allo stesso tempo, la sua immagine. Nella sua pratica artistica, il suo corpo gioca sempre un ruolo importante; e questo non solo perché il disegno, come pratica, è principalmente basato sull’azione motoria soggettiva dell’artista, ma anche perché le trame del suo lavoro sono largamente ispirate a un mondo pittorico interno, dotato di una carica erotica in cui il ricordo, il desiderio e l’arcano confluiscono l’uno nell’altro.
Le sue opere sono state esibite sia in Germania sia all’estero. Tra le sue mostre più recenti, ricordiamo: Exit II (Prolog)(2019), Megamelange, Colonia; Reflection is a Wall(2019), Unttld Contepmorary, Vienna; Not dark yet(2018), Kunsthaus Muerz, Muerzzuschlag, Austria; Zone(2017), Suzanne Tarasieve, Parigi; L’œil du collectionneur(2016), Museum of Modern & Contemporary Art, Strasburgo; Atlas(2016), Unttld Contemporary, Vienna; Hausbesetzung(2014), Nassauischer Kunstverein, Wiesbaden.

Michael Staniak è nato a Melbourne nel 1982 dove oggi vive e lavora. Ha ottenuto un BFA e un MFA presso il Victorian College of the Arts, Melbourne, così come anche un BA in Digital Media Communications presso la Middle Tennessee State University.
Staniak crea i dipinti principalmente a mano, costruisce texture con strati irregolari di gesso e poi dipinge la superficie in vari modi: i suoi dipinti hanno una strana somiglianza con le stampe digitali piatte. In effetti, bisogna vedere le opere da vicino per percepirne la trama e la profondità e, come tali, si comportano come dei trompe l’oeil contemporanei che confondono i nostri sensi. Alcuni dipinti utilizzano tuttavia metodi digitali di output e così facendo creano un dialogo tra due modi di produzione. Le sue opere esplorano una nuova estetica della pittura, influenzata dalle tecnologie digitali, inclusi touch pad, smartphone, personal computing e Internet.
Oltre all’identificazione di Staniak con un patrimonio storico-artistico che include pitture rupestri, antichi rilievi in marmo, minimalismo e drip paintings, aggiunge anche l’eredità degli artisti anni ’60 e ’70 del Sud della California delle correnti denominate Finish Fetish e Light and Space.
Staniak è stato protagonista di mostre personali presso la Galleria Eduardo Secci, Firenze (2018); Steve Turner Contemporary, Los Angeles (2017); Museo di Arte Contemporanea di St. Louis, St. Louis (2015); Galleria Annarunna, Napoli (2015); Artereal Gallery, Sydney (2014).
Tra le mostre collettive ricordiamo le esposizioni alle gallerie: Steve Turner Contemporary, Los Angeles (2018); Eduardo Secci Contemporary, Messico (2018); Homeostatis Pavilion, San Paolo, Brasile; The Journal Gallery, Brooklyn (2017); Gertrude Contemporary, Melbourne (2016); Blain Southern, Berlin (2015); The Moving Museum, Istanbul (2014); Kunsthalle Wien, Vienna (2014); Galleria Horton, New York (2013); Centro per l’arte contemporanea Northern Territory, Melbourne (2012).
Nel 2017, il Contemporary Art Museum di St. Louis ha pubblicato una monografia a dei suoi lavori, intitolata IMG_, che è stata poi riportata in numerose pubblicazioni, tra cui Artforum, Flashart Italy, Vault, Australia e Leap Beijing.
Michael Staniak è nato a Melbourne nel 1982 dove oggi vive e lavora. Ha ottenuto un BFA e un MFA presso il Victorian College of the Arts, Melbourne, così come anche un BA in Digital Media Communications presso la Middle Tennessee State University.
Staniak crea i dipinti principalmente a mano, costruisce texture con strati irregolari di gesso e poi dipinge la superficie in vari modi: i suoi dipinti hanno una strana somiglianza con le stampe digitali piatte. In effetti, bisogna vedere le opere da vicino per percepirne la trama e la profondità e, come tali, si comportano come dei trompe l’oeil contemporanei che confondono i nostri sensi. Alcuni dipinti utilizzano tuttavia metodi digitali di output e così facendo creano un dialogo tra due modi di produzione. Le sue opere esplorano una nuova estetica della pittura, influenzata dalle tecnologie digitali, inclusi touch pad, smartphone, personal computing e Internet.
Oltre all’identificazione di Staniak con un patrimonio storico-artistico che include pitture rupestri, antichi rilievi in marmo, minimalismo e drip paintings, aggiunge anche l’eredità degli artisti anni ’60 e ’70 del Sud della California delle correnti denominate Finish Fetish e Light and Space.
Staniak è stato protagonista di mostre personali presso la Galleria Eduardo Secci, Firenze (2018); Steve Turner Contemporary, Los Angeles (2017); Museo di Arte Contemporanea di St. Louis, St. Louis (2015); Galleria Annarunna, Napoli (2015); Artereal Gallery, Sydney (2014).
Tra le mostre collettive ricordiamo le esposizioni alle gallerie: Steve Turner Contemporary, Los Angeles (2018); Eduardo Secci Contemporary, Messico (2018); Homeostatis Pavilion, San Paolo, Brasile; The Journal Gallery, Brooklyn (2017); Gertrude Contemporary, Melbourne (2016); Blain Southern, Berlin (2015); The Moving Museum, Istanbul (2014); Kunsthalle Wien, Vienna (2014); Galleria Horton, New York (2013); Centro per l’arte contemporanea Northern Territory, Melbourne (2012).
Nel 2017, il Contemporary Art Museum di St. Louis ha pubblicato una monografia a dei suoi lavori, intitolata IMG_, che è stata poi riportata in numerose pubblicazioni, tra cui Artforum, Flashart Italy, Vault, Australia e Leap Beijing.

Kevin Francis Gray, nato nel 1972 in Irlanda del Nord, vive e lavora tra Londra e l’Italia.
Kevin Francis Gray ha generato un corpo di lavoro che affronta la complessa relazione tra astrazione e figurazione. La sua ricerca artistica si basa sull’intersezione tra tecniche di scultura tradizionale e vita contemporanea. Anziché lavorare verso ideali di bellezza o di memoria, Gray si focalizza sugli effetti psicologici dei suoi soggetti, spesso sfruttando superfici materiche per esprimere stati mentali, posture facciali o corporee. Dopo dieci anni dedicati alla lavorazione del marmo, i nuovi lavori di Gray cercano di spingere la pratica scultorea dell’artista verso nuovi territori di espressione fisica e psicologica.
Si è laureato presso il National College of Art & Design di Dublino (1995) e presso la School of Art Institute di Chicago (1996), per poi proseguire con un Master in Belle Arti presso il Goldsmiths College di Londra. Lavora a stretto contatto con lo studio di marmo Giannoni, a Pietrasanta, noto per l’impiego di tecniche scultorie risalenti a Canova e Michelangelo. Le sue opere hanno fatto parte di mostre presso la Royal Academy, Londra, UK; il Sudeley Castle, Winchcombe, Gloucestershire, UK; il Museum of Contemporary Art della Val de- Marne, Parigi, Francia; il Nieuw Dakota, Amsterdam; il Palazzo Arti Napoli, Napoli, Italia; il Musee d’Art Moderne, Saint-Etienne, Francia; l’ARTIUM, Centro-Museo Vasco de Arte Contemporáneo, Vitoria-Gasteiz, Spagna; il Tel-Aviv Museum of Art, Tel Aviv, Israele; e l’Art Space, New York, USA.
Kevin Francis Gray, nato nel 1972 in Irlanda del Nord, vive e lavora tra Londra e l’Italia.
Kevin Francis Gray ha generato un corpo di lavoro che affronta la complessa relazione tra astrazione e figurazione. La sua ricerca artistica si basa sull’intersezione tra tecniche di scultura tradizionale e vita contemporanea. Anziché lavorare verso ideali di bellezza o di memoria, Gray si focalizza sugli effetti psicologici dei suoi soggetti, spesso sfruttando superfici materiche per esprimere stati mentali, posture facciali o corporee. Dopo dieci anni dedicati alla lavorazione del marmo, i nuovi lavori di Gray cercano di spingere la pratica scultorea dell’artista verso nuovi territori di espressione fisica e psicologica.
Si è laureato presso il National College of Art & Design di Dublino (1995) e presso la School of Art Institute di Chicago (1996), per poi proseguire con un Master in Belle Arti presso il Goldsmiths College di Londra. Lavora a stretto contatto con lo studio di marmo Giannoni, a Pietrasanta, noto per l’impiego di tecniche scultorie risalenti a Canova e Michelangelo. Le sue opere hanno fatto parte di mostre presso la Royal Academy, Londra, UK; il Sudeley Castle, Winchcombe, Gloucestershire, UK; il Museum of Contemporary Art della Val de- Marne, Parigi, Francia; il Nieuw Dakota, Amsterdam; il Palazzo Arti Napoli, Napoli, Italia; il Musee d’Art Moderne, Saint-Etienne, Francia; l’ARTIUM, Centro-Museo Vasco de Arte Contemporáneo, Vitoria-Gasteiz, Spagna; il Tel-Aviv Museum of Art, Tel Aviv, Israele; e l’Art Space, New York, USA.

Andrea Galvani (nato in Italia nel 1973) vive e lavora da molti anni tra New York e Città del Messico. La sua ricerca concettuale si avvale di fotografia, disegno, scultura, performance, neon, materiali d’archivo e grandi audio e video installazioni che vengo sviluppate intorno all’ architettura degli spazi espositivi. I suoi progetti sembrano aumentare la nostra consapevolezza, attingendo a concetti e strumenti provenienti da diverse discipline e assumendo spesso linguaggi e metodologie di carattere scientifico.
Il lavoro di Galvani è stato esposto a livello internazionale in importanti musei e spazi istituzionali tra cui ricordiamo: il Whitney Museum di New York, la 4th Moscow Biennale of Contemporary Art di Mosca, Mediations Biennale di Poznan, in Polonia, Aperture Foundation, New York; The Calder Foundation, New York; Pavilion – Center for Contemporary Art and Culture, Bucharest; il Mart Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto; Museo Macro, Roma; GAMeC, Bergamo; De Brakke Grond, Amsterdam; Den Frie Centre of Contemporary Art, Copenaghen; Sculpture Center, New York; e molti altri. Le sue opere fanno parte delle principali collezioni pubbliche e private in Europa, nelle Americhe, in Asia e in Africa, tra cui: la Collezione permanente presso il Dallas Museum of Art, Texas; Deutsche Bank Collection, Londra; Artist Pension Trust, New York; la Contemporary Art Society, Aspen Collection, New York; la UniCredit Art Collection, Milano; the Permanent Collection of the United States Library of Congress, Prints and Photographs Division, Washington, DC; il Mart Museum of Modern and Contemporary Art di Trento e Rovereto; la 500 Capp Street Foundation, San Francisco; MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, Roma; The Armory Show, New York e MACRO Testaccio, Roma. Tra i moltissimi grant e residency internazionali ricordiamo la sua partecipazione a Location One International Artist Residency Program a New York (2008), LMCC Lower Manhattan Cultural Council (2009), e il MIA Artist Space / Columbia University Department of Fine Arts (2010). Nel 2011 ha ricevuto il New York Exposure Prize ed è stato nominato per il prestigioso Deutsche Börse Photography Prize. Nel 2016, il Museo del Mart di Trento e Rovereto ha presentato la prima retrospettiva midcareer di Galvani in Europa. Nel 2017, il suo lavoro è stato selezionato per rappresentare la Deutsche Bank Collection a Frieze New York. Nel 2019 ha ricevuto il prestigioso Audemars Piguet Prize.
Andrea Galvani (nato in Italia nel 1973) vive e lavora da molti anni tra New York e Città del Messico. La sua ricerca concettuale si avvale di fotografia, disegno, scultura, performance, neon, materiali d’archivo e grandi audio e video installazioni che vengo sviluppate intorno all’ architettura degli spazi espositivi. I suoi progetti sembrano aumentare la nostra consapevolezza, attingendo a concetti e strumenti provenienti da diverse discipline e assumendo spesso linguaggi e metodologie di carattere scientifico.
Il lavoro di Galvani è stato esposto a livello internazionale in importanti musei e spazi istituzionali tra cui ricordiamo: il Whitney Museum di New York, la 4th Moscow Biennale of Contemporary Art di Mosca, Mediations Biennale di Poznan, in Polonia, Aperture Foundation, New York; The Calder Foundation, New York; Pavilion – Center for Contemporary Art and Culture, Bucharest; il Mart Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto; Museo Macro, Roma; GAMeC, Bergamo; De Brakke Grond, Amsterdam; Den Frie Centre of Contemporary Art, Copenaghen; Sculpture Center, New York; e molti altri. Le sue opere fanno parte delle principali collezioni pubbliche e private in Europa, nelle Americhe, in Asia e in Africa, tra cui: la Collezione permanente presso il Dallas Museum of Art, Texas; Deutsche Bank Collection, Londra; Artist Pension Trust, New York; la Contemporary Art Society, Aspen Collection, New York; la UniCredit Art Collection, Milano; the Permanent Collection of the United States Library of Congress, Prints and Photographs Division, Washington, DC; il Mart Museum of Modern and Contemporary Art di Trento e Rovereto; la 500 Capp Street Foundation, San Francisco; MAXXI Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, Roma; The Armory Show, New York e MACRO Testaccio, Roma. Tra i moltissimi grant e residency internazionali ricordiamo la sua partecipazione a Location One International Artist Residency Program a New York (2008), LMCC Lower Manhattan Cultural Council (2009), e il MIA Artist Space / Columbia University Department of Fine Arts (2010). Nel 2011 ha ricevuto il New York Exposure Prize ed è stato nominato per il prestigioso Deutsche Börse Photography Prize. Nel 2016, il Museo del Mart di Trento e Rovereto ha presentato la prima retrospettiva midcareer di Galvani in Europa. Nel 2017, il suo lavoro è stato selezionato per rappresentare la Deutsche Bank Collection a Frieze New York. Nel 2019 ha ricevuto il prestigioso Audemars Piguet Prize.





- Michael Staniak


- Levi van Veluw



