Press

Vogue Italia: La mostra a Bologna

Vogue Italia: La mostra a Bologna
Screenshot 2023-10-24 at 11.50.10

Un dittico d’ARTE e VITA.  Si intitola CONCETTO POZZATI XXL l’antologica che la città felsinea dedica al suo PITTORE “larger than life”. Noi vogliamo attraversare la sua PARABOLA per scoprirne passioni, TEMI e abitudini. Accomunate da un numero… Di MARIUCCIA CASADIO

lto e imponente com’era poteva vedere lontano e non a caso la sua conoscenza era vasta, anzi enciclopedica, eclettica e senz’altro internazionale. Eppure Concetto Pozzati ha vissuto a Bologna tutta la vita. Lì è diventato, ancora assai giovane, il pittore più celebre e rappresentativo al mondo della Pop Art italiana. Lì si è scoperto osservatore attento e critico del suo tempo. Lì è stato accademico e persino assessore alla cultura, ma non di meno amorevole marito e padre di due figli. E a renderlo iconico, memorabile, non sono stati solo l’aspetto esteriore, i capelli e i baffoni scuri che sono imbiancati via via senza cambiarlo, la voce tonante, i cappotti di bel taglio, l’eleganza dei modi o la magnifica stilosissima coppia che formava con sua moglie Roberta. Ma anche e soprattutto la sua nutrita cultura d’artista, la sua fine intelligenza, il suo senso del sociale e della socialità, le qualità conversatorie, lo humour, le convin137 zioni e i pareri, anche scomodi, espressi e discussi ad alta voce e senza remore. Di persona o di vista lo conoscevano in tanti, lo incrociavano per strada, in centro, sotto i portici di via Zamboni, di via Farini o del Pavaglione, alla galleria De’ Foscherari, che da sempre ne rappresenta il lavoro, oppure lo intercettavano in giro a presiedere inaugurazioni di altrui mostre o eventi. E certo la sua scomparsa nel 2017 ha lasciato in città un vuoto che ancora si percepisce. Lui era proprio “larger than life”. E la mostra antologica negli spazi storici di Palazzo Fava, aperta dal 27 ottobre all’11 febbraio 2024, la prima realizzata in uno spazio museale bolognese dopo la morte, intende proprio testimoniarlo con una serie di opere mai esposte di grandi dimensioni. S’intitola, non a caso, Concetto Pozzati XXL e a curarla è la figlia Maura, una stimata addetta ai lavori, critica d’arte e docente. Oggi è lei che dirige anche l’archivio dell’artista, istituito con il fratello Jacopo nel 2020. E proprio da lì provengono le circa cinquanta opere che compongono la mostra. La sede è in via Zamboni 57, negli stessi locali al piano terra dove Concetto Pozzati ha per anni lavorato, dipinto, disegnato, progettato, scritto libri e saggi, annotato idee e pensieri. Il corpus di un’eredità straordinaria e impegnativa, che include molte centinaia di opere e miriadi di documenti, appare in gran parte già classificato e ben ordinato in apposite scaffalature, ma nel neo costituito archivio permangono anche tracce visibili del vissuto dell’artista, dei portafortuna e degli eterogenei feticci di cui si circondava. Scopro che era molto scaramantico e che quegli oggettini di epoche passate e recenti, disposti insieme su una medesima mensola sospesa sul suo scrittoio, avrebbero ognuno qualcosa da raccontare. Capisco anche perché le sue passioni per l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert o per L’Origine du Monde di Gustave Courbet abbiano costituito le pietre miliari della sua avida instancabile ricerca, come ancore di un’immaginazione feconda, che fagocita, rivisita, reifica, inventa e reinventa non stop segni, forme, figure, significati, stili e prodotti della memoria occidentale e personale. Atletico, sportivo, giocatore di basket.

Concetto Pozzati non era solo ben piantato d’aspetto, lo era anche nella sua visionarietà, nel suo modo unico di padroneggiare immagini e parole, cicli e temi del lavoro, portando con sé tutto un bagaglio di saperi e competenze, ricordi, ritrovamenti e scoperte, un repertorio polisemico e sempre ricco di iconografie e simboli d’affezione. Il suo mondo, come racconta quella mensola di oggettini sul suo scrittoio, oltrepassava ogni ragione, logica, nozione assodata, ordine di valore, trasformando il quadro in un collage di referenti high&low, un’appropriazione libera, un modo tutto suo, pop sì, ma anche surreale e affabulatorio, di far confluire su un medesimo piano informazioni in diretta e in differita, segni in rilievo, soggetti dipinti a tinte vivaci, immagini grafiche in bianco e nero, citazioni e autocitazioni, originali e riproduzioni, che lui sapeva legare insieme e rendere eloquenti con uno stile inoppugnabile. Quando chiedo a Maura qualcosa di più delle opere XXL destinate alla mostra a Palazzo Fava, apprendo innanzitutto che i cicli tematici prodotti da Pozzati nei suoi molti decenni di lavoro si concludevano sempre con un dittico. Il soggetto si sdoppia in due quadri e le dimensioni arrivano così a circa tre metri e mezzo per due. In seguito, pensando a tutti i dati che avevo raccolto, quella sua relazione con il dittico l’ho vista diventare un fil rouge, una chiave di lettura, un numero magico, propiziatorio, che lega e collega tutte le sue scelte, dalla vita all’arte e viceversa. Concetto è stato il secondo artista di casa, anche il ben conosciuto padre Mario lo era. E dopo avere conseguito il diploma all’Istituto d’arte di Bologna si è recato a Parigi, per specializzarsi in arti grafiche a fianco di quel genio di suo zio Severo Pozzati, in arte Sepo, uno dei migliori pubblicitari e cartellonisti del futurismo e del secolo scorso. Ma se quello zio gli ha inoculato il gusto del tratto, della pagina e dell’impaginazione, i suoi maestri del cuore sono due. L’altro è Virgilio Guidi a Venezia, che lo indirizzerà con passione verso la pittura. In seguito, tra il 1963 e il 1965, ci saranno le Biennali di Tokyo, San Paolo del Brasile, o la XXXII di Venezia nel 1964 – sì, proprio quella che ha introdotto in Europa il fenomeno americano della Pop Art, facendo di Pozzati, allora appena ventottenne, un artista da tenere in seria considerazione, una giovane star. Una sua illuminante riflessione sulla Pop Art e sul rapporto tra arte e merce, contiene un intrigante finale: «Capii che le immagini private non solo si scontrano con quelle pubbliche-cartellonistiche, ma che il privato e il pubblico si scambiano le parti. Per esempio la pera utilizzata da me (che era quella del manifesto Derby pera) diventava la Pera Pozzati. Il prodotto univa in sé tutte le contraddizioni linguistiche». A ben vedere, una vera precognizione quel sovrapporsi di privato e pubblico. Avrebbero pensato la stessa cosa, diversi decenni dopo, anche star dell’appropriazionismo americano come Jeff Koons o Richard Prince. È una piccola pietra miliare del suo pensiero, formatosi in un tempo, tra dopoguerra e anni Settanta, fondato sul confronto dialettico. Un linguaggio politico, estetico, critico, ma anche esistenziale contraddistinto da dualità, dualismi, contrapposizioni. Doppi e sdoppiamenti sembrano entrare lì nel suo modo di vedere e progettare il lavoro, ma anche la vita. O forse già si erano insinuati in lui quando ancora era bambino. Nato a Vo’ Vecchio, sui Colli Euganei, da una famiglia benestante, Concetto condivide con i genitori gli anni della guerra. Antifascisti e di origini ebree, devono lasciare la loro dimora, Villa Contarini Giovanelli-Venier, e sfollare ad Asiago, dove lui frequenta le elementari e le medie. La loro bella casa di Vo’ Vecchio viene espropriata e trasformata dai tedeschi in un lager, per poi diventare un museo della Shoah, che contiene stanze dedicate all’opera di Concetto e a quella del padre Mario. Di nuovo un doppio corso delle cose, gravata dall’incertezza e dal senso di perdita, quell’esperienza infantile diventa quasi un seme, una motivazione di ri-nascita, ri-natura, ri-storia, ri-memoria. In arte dittici e polittici hanno una storia secolare, ma si sono evoluti dai formati a libro, incernierati e a volte tascabili degli antichi, a quelli più dilatati nello spazio dei moderni e contemporanei. Tuttavia l’idea resta la stessa, raddoppiare, accoppiare, estendere, moltiplicare, amplificare l’identità e la portata dell’iconografia trattata. Il dittico XXL di Pozzati sconfina nei sentimenti, nelle complicità, nelle condivisioni umane e private. Nella possibilità di generare e rigenerare. Per usare le sue parole, un «Vedo cose di ieri, ma con gli occhi di oggi», che l’accompagna in tutta la sua carriera. Ha lavorato fino agli ultimi giorni della sua vita, ma per quanto sofferente e malato non ha mai perso il suo coraggio e la sua imponenza. Alla scomparsa della moglie Roberta nel 2006, una compagna che ha rappresentato l’esatta metà della sua mitica pera o del suo pomodoro, della sua immagine riflessa nelle opere, in casa e nella strada, l’altra da sé per ben oltre quarant’anni, ha dedicato un intero ciclo tematico, Ciao Roberta. Un censimento sentimentale, fatto di abiti, evocazioni della sua presenza elegante, colorata e luminosa. Un po’ come un

Iscriviti alla nostra mailing list per aggiornamenti sui nostri artisti, mostre, eventi e altro ancora.
Iscriviti